Personaggi

In questa pagina potete leggere brevi biografie di
personaggi che, ognuno nel proprio ambito,
hanno reso lustro alla Sicilia:


Giuseppe Emanuele IV Ventimiglia

C’è stato un personaggio storico che ha portato alto il nome di Belmonte Mezzagno durante tutta la sua intensa vita. Si tratta di Giuseppe Emanuele IV Ventimiglia principe di Belmonte, nipote e omonimo del fondatore del paese. Egli fu uno dei protagonisti delle vicende che portarono alla Costituzione del 1812.

Giuseppe Ventimiglia nacque a Palermo nel 1766, figlio primogenito del principe Vincenzo e di sua moglie, Anna Maria Cottone di Castelnuovo, di tradizioni costituzionaliste. Sin dalla gioventù venne inviato a studiare a Roma presso il Collegio del Nazareno per poi dedicarsi ad un gran tour in Europa, toccando tappe importanti come il viaggio in Italia, Svizzera, Impero, Ungheria e Polonia. Durante quest'ultimo viaggio conobbe ed accompagnò il sovrano Stanislao Poniatowski al suo primo incontro con la zarina Caterina II, facendo quindi seguito all'imperatrice sino a Kiev ed a Kherson, navigando lungo il Dnieper. Giunto in Crimea, da qui raggiunse la Moldavia e la Valacchia facendo tappa a Bucarest, attraversando poi la Prussia, la Sassonia e quindi giungendo in Francia ed in Inghilterra. Tornato a Parigi, qui conobbe sua cugina Charlotte Ventimille, del ramo francese della sua famiglia, e la sposò prima di fare ritorno con lei in patria.

L'ambiente culturale che ritrovò a Palermo era intriso dei personaggi patrocinati da suo zio Carlo, principe di Castelnuovo, ed ebbe perciò corrispondenze con l'astronomo Giuseppe Piazzi e con Paolo Balsamo tra gli altri. Si batté negli inizi dell'Ottocento per il mantenimento dell'Accademia Palermitana degli Studi, minacciata di chiusura dallo stesso re Ferdinando IV che era intenzionato a ripulirla dell'impronta libertaria che aveva assunto ed a restituirla ai gesuiti.
In quegli anni re Ferdinando viveva in Sicilia perché Napoli era occupata dalle truppe francesi guidate dal maresciallo dell’impero di Francia – nonché cognato di Napoleone – Gioacchino Murat. Ferdinando IV riusciva a soffocare sul nascere ogni tentativo di rivolta del popolo siciliano, il quale non sopportava l’idea che la Sicilia fosse considerata dal Re subalterna rispetto a Napoli, grazie all’appoggio dell’esercito inglese.
Il Belmonte fu uomo di idee liberali, per questo presto divenne una delle figure chiave quando gli inglesi si adoperarono per restituire ai Borbone la loro corona nell'Italia meridionale, dopo la caduta dei francesi: lord Horwick (futuro conte Grey e primo ministro inglese) lo teneva in grande considerazione per una possibile intesa anglo-sicula al fine di sconfiggere il "partito" dei sostenitori della regina Maria Carolina che appoggiava i francesi di Murat. Proprio per questo scopo il Ventimiglia si pose a capo di 30.000 uomini armati volti a difendere  la forma di governo esistente contro la proprietà dei particolari e i privilegi dei diversi ordini. Tra questi privilegi che il Ventimiglia riteneva ormai intollerabili vi era una sorta di tassa fissa che la Sicilia doveva pagare al governo di Napoli senza motivazione e che rimandava a una specie di donativo medievale; egli propose al contrario una imposta fondiaria basata su un catasto da preparare e solo in seguito una eventuale imposta indiretta per coprire il gettito eventualmente insufficiente.

Appoggiò apertamente Luigi Filippo d'Orléans, genero del re, e chiese alla regina l'allontanamento dei ministri napoletani, nonché la fondazione di una amministrazione siciliana indipendente, dove i baroni potessero avere un ruolo significativo nel governo centrale una volta che Napoli fosse stata riconquistata alle truppe dei napoleonici. Assieme ad altri 43 baroni, il Ventimiglia venne però arrestato la notte tra il 19 ed il 20 luglio del 1811 e con altri tre venne rinchiuso nel castello di San Giacomo a Favignana. L'accusa ufficiale furono una serie di lettere che il governo aveva intercettato, nelle quali il principe dimostrava di avere una corrispondenza col principe ereditario d'Inghilterra, nel quale egli paventava, se necessario, una volontà da parte del popolo siciliano di utilizzare anche le armi contro il governo per far valere i propri diritti, e dove chiedeva un appoggio ufficioso della Gran Bretagna a queste operazioni. Rimase in prigionia, malgrado lo stato di salute precario, sino al 20 gennaio 1812 quando venne liberato per intervento di lord Bentinck.
Da subito il Ventimiglia con altri si adoperarono per la stesura di una prima costituzione siciliana che si rifacesse il più possibile a quella inglese, che rappresentava a sua detta un modello ideale di connubio tra democrazia e monarchia: il risultato fu la Costituzione siciliana del 1812.

Col congresso di Vienna, re Ferdinando tornò al potere ufficialmente anche sul trono siciliano e come risultato il Ventimiglia ed i suoi alleati vennero allontanati dai centri di potere. Nel tentativo estremo di salvare la costituzione siciliana in cui tanto aveva creduto, e per la quale si era battuto per un decennio, si recò a Parigi dove venne ricevuto da Luigi XVIII di Francia che, pur complimentandosi largamente con lui, non si impegnò a fare pressioni al governo borbonico perché riconoscesse delle assicurazioni politiche per la Sicilia e la sua costituzione.

Morì a Parigi, ormai minato irrimediabilmente dalla tisi, nell'ottobre del 1814.

Vincenzo Bellini

Ci sono stati uomini che pur avendo vissuto una breve vita raggiungono l'Immortalità.
Uno di essi è certamente il siciliano Vincenzo Bellini, egli nei suoi brevi 34 anni di vita, è riuscito ad imporsi come uno dei compositori e operisti più grandi di sempre.

Passiamo alla sua intensa vita con una breve biografia.
Vincenzo Salvatore Carmelo Francesco Bellini nacque a Catania il 3 novembre 1801 da Rosario Bellini e da Agata Ferlito in un appartamento in affitto di Palazzo Gravina Cruyllas in Piazza San Francesco, Vincenzo fu figlio e nipote d'arte: il nonno Vincenzo Tobia Felice, originario di Torricella Peligna e all'epoca noto compositore di musiche sacre, già attivo a Petralia Sottana, fu scritturato da Ignazio Paternò Castello e pertanto si trasferì a Catania in via Santa Barbara.
Il piccolo Vincenzo dimostrò precocemente un interesse nei confronti della musica e intorno all'età di 14 anni si trasferì a studiare dal nonno il quale ne intuì l'alta predisposizione verso la composizione. Intorno al 1817 la sua produzione si fa particolarmente intensa, per convincere il senato civico ad ottenere una borsa di studio per il perfezionamento da effettuarsi al Real Collegio di Musica di San Sebastiano, con una supplica datata al 1818.
Nel 1819 ottenne la borsa di 36 onze annue grazie all'interesse dell'intendente del Vallo, il duca di Sammartino. Partì da Messina, ospite dello zio padrino Francesco Ferlito, il 14 giugno e giunse al porto di Napoli dopo cinque giorni di tempesta, scampando fortunosamente ad un naufragio.
A Napoli fu allievo di Giacomo Tritto, ma conosciuto Nicola Antonio Zingarelli preferì seguire quest'altro, il quale lo indirizzò verso lo studio dei classici e il gusto per la melodia piana ed espressiva, senza artifici e abbellimenti, secondo i dettami della scuola musicale napoletana. Tra i banchi del conservatorio ebbe come condiscepoli Saverio Mercadante ed il musicista patriota Piero Maroncelli, ma soprattutto conobbe il calabrese Francesco Florimo, la cui fedele amicizia lo accompagnerà per tutta la vita e dopo la morte, allorché Florimo diventerà bibliotecario del conservatorio di Napoli e sarà tra i primi biografi dell'amico prematuramente scomparso.
In questo periodo Bellini compose musica sacra, alcune sinfonie d'opera e alcune arie per voce e orchestra, tra cui la celebre Dolente immagine il cui testo è attribuito alla sua fiamma di allora, Maddalena Fumaroli, opera oggi nota solo nelle successive rielaborazioni per voce e pianoforte.
Nel 1825 presentò al teatrino del conservatorio la sua prima opera, Adelson e Salvini, come lavoro finale del corso di composizione. L'anno dopo colse il primo grande successo con Bianca e Fernando, andata in scena al teatro San Carlo di Napoli col titolo ritoccato in Bianca e Gernando per non mancare di rispetto al principe Ferdinando di Borbone.
L'anno seguente il celebre Domenico Barbaja commissionò a Bellini un'opera da rappresentare al Teatro alla Scala di Milano. Partendo da Napoli, il giovane compositore lasciò alle spalle l'infelice passione per Maddalena Fumaroli, la ragazza che non aveva potuto sposare per l'opposizione del padre di lei, contrario al matrimonio con un musicista.
Sia Il pirata (1827) che La straniera (1829) ottennero alla Scala un clamoroso successo: la stampa milanese riconosceva in Bellini l'unico operista italiano in grado di contrapporre a Gioachino Rossini uno stile personale da cui prende la bellezza proprio quest'ultimo, basato su una maggiore aderenza della musica al dramma e sul primato del canto espressivo rispetto al canto fiorito.

Meno fortuna ebbe nel 1829 Zaira, rappresentata a Parma per inaugurare il nuovo Teatro Ducale di Parma (oggi Teatro Regio di Parma) e la cui rappresentazione riscosse scarso successo. Lo stile di
Bellini mal si adattava ai gusti del pubblico di provincia, più tradizionalista. Delle cinque opere successive, le più riuscite sono non a caso quelle scritte per il pubblico di Milano (La sonnambula, e Norma, entrambe andate in scena nel 1831) e Parigi (I puritani - 1835). In questo periodo compose anche due opere per il Teatro La Fenice di Venezia: I Capuleti e i Montecchi (1830), per i quali adattò parte della musica scritta per Zaira, e la sfortunata Beatrice di Tenda (1833).
La svolta decisiva nella carriera e nell'arte del musicista catanese coincise con la sua partenza dall'Italia alla volta di Parigi. Qui Bellini entrò in contatto con alcuni dei più grandi compositori d'Europa, tra cui Fryderyk Chopin, e il suo linguaggio musicale si arricchì di colori e soluzioni nuove, pur conservando intatta l'ispirazione melodica di sempre. Oltre ai Puritani, scritti in italiano per il Théâtre-Italien, a Parigi Bellini compose numerose romanze da camera di grande interesse, alcune delle quali in francese, dimostrandosi pronto a comporre un'opera in francese per il Teatro dell'Opéra di Parigi. Ma la sua carriera e la sua vita furono stroncate a meno di 34 anni da un'infezione intestinale amebica (vedi amebiasi) probabilmente contratta all'inizio del 1830.
Bellini fu sepolto nel cimitero Père Lachaise, dove rimase per oltre 40 anni, vicino a Chopin e a Cherubini. Nel 1876 la salma fu traslata nel Duomo di Catania.
Nelle varie tappe che segnarono il ritorno in Patria, il feretro del compositore fu accolto ovunque con calore e commozione. Giunto infine nella sua città natale, vennero celebrate le solenni esequie, a cui parteciparono migliaia di catanesi, alcuni parenti del compositore (tra cui due fratelli ancora in vita), e una folta rappresentanza di autorità civili, militari e religiose. In onore del ritorno in Patria delle sue spoglie la sua città natale riprodusse l'Arco di Trionfo di Parigi in ricordo del soggiorno francese del musicista.

Le opere

Bellini, come già detto, fu un compositore molto prodigo sia dal punto vista sinfonico che operistico:
I suoi melodrammi più conosciuti è rappresentati sono "La Norma", "I Puritani", "La Sonnambula" e "I Capuleti e I Montecchi".

Norma è un'opera in due atti di Vincenzo Bellini su libretto di Felice Romani, tratto dalla tragedia Norma, ou L'Infanticide di Louis-Alexandre Soumet (1786-1845).
Composta in meno di tre mesi, dall'inizio di settembre alla fine di novembre del 1831, in gran parte nella Villa Passalacqua di Moltrasio, fu data in prima assoluta al Teatro alla Scala di Milano il 26 dicembre dello stesso anno, inaugurando la stagione di Carnevale e Quaresima 1832.
Il soggetto è ambientato nelle Gallie al tempo dell'antica Roma, e presenta espliciti legami con il mito di Medea. Fedele a questa idea di classica sobrietà, Bellini adottò per Norma una tinta orchestrale particolarmente omogenea, relegando l'orchestra al ruolo di accompagnamento della voce.



Celeberrime sono l'Ouverture e l'Aria Casta Diva, e nel cuore di tutti la versione cantata dalla Divina Maria Callas di cui propongo l'ascolto.













  
I puritani è un'opera seria in tre atti su libretto di Carlo Pepoli, tratto dal dramma storico di Jacques-François Ancelot e Joseph Xavier Boniface (noto col nome di Saintine), Têtes rondes et Cavaliers.
Debuttò al Théâtre de la comédie italienne di Parigi il 24 gennaio del 1835, con esito trionfale.

Bellini compose la sua ultima opera in nove mesi, dall'aprile del 1834 al gennaio del 1835: una gestazione per l'epoca insolitamente lunga. Durante questo periodo, l'impianto drammaturgico subì trasformazioni radicali e il compositore guidò passo dopo passo il lavoro dell'inesperto librettista.
Propongo l'ascolto dell'aria "A te, o cara" cantata da Andrea Bocelli.



Giorgio La Pira

Oggi propongo un'approfondimento su un grande siciliano, faro per tutti i politici d'ispirazione cristiana, Giorgio La Pira.

Cominciamo con una sua citazione che ci introduce nel pensiero Lapiriano: «Non si dica quella solita frase poco seria: la politica è una cosa 'brutta'! No: l'impegno politico -cioè l'impegno diretto alla costruzione cristianamente ispirata della società in tutti i suoi ordinamenti a cominciare dall'economico- è un impegno di umanità e di santità: è un impegno che deve potere convogliare verso di sé gli sforzi di una vita tutta tessuta di preghiera, di meditazione, di prudenza, di fortezza, di giustizia e di carità».
Avrete capito sicuramente di cosa parleremo.

Ma andiamo alla sua biografia:
Giorgio La Pira nacque il 9 gennaio 1904 a Pozzallo (provincia di Ragusa), in Sicilia, primogenito di una famiglia di umili condizioni sociali. Nel 1921 conseguì a Messina il diploma di ragioniere, nel 1922 anche la maturità classica con la preparazione del professore di italiano Federico Rampolla del Tindaro, che lo indirizza a proseguire gli studi in giurisprudenza.
Il giovane La Pira è affascinato da Gabriele D'Annunzio e Tommaso Marinetti, dal loro ideale di cambiamento, legge molto e si avvicina ad altre esperienze, condividendole con il suo gruppo di giovani amici di cui fanno parte anche Salvatore Quasimodo e Salvatore Pugliatti, futuro rettore dell'Università di Messina.

La Pira era rimasto fortemente colpito dall'ascolto di un coro di suore, ivi intuisce una dimensione ulteriore, ma occorre attendere la Pasqua del 1924 affinché l'intuizione diventi conversione. Data segnata in calce sul suo Digesto, strumento di lavoro quotidiano per un docente di diritto romano.

Giorgio La Pira nacque il 9 gennaio 1904 a Pozzallo (provincia di Ragusa), in Sicilia, primogenito di una famiglia di umili condizioni sociali. Nel 1921 conseguì a Messina il diploma di ragioniere, nel 1922 anche la maturità classica con la preparazione del professore di italiano Federico Rampolla del Tindaro, che lo indirizza a proseguire gli studi in giurisprudenza.
Il giovane La Pira è affascinato da Gabriele D'Annunzio e Tommaso Marinetti, dal loro ideale di cambiamento, legge molto e si avvicina ad altre esperienze, condividendole con il suo gruppo di giovani amici di cui fanno parte anche Salvatore Quasimodo e Salvatore Pugliatti, futuro rettore dell'Università di Messina.

La Pira era rimasto fortemente colpito dall'ascolto di un coro di suore, ivi intuisce una dimensione ulteriore, ma occorre attendere la Pasqua del 1924 affinché l'intuizione diventi conversione. Data segnata in calce sul suo Digesto, strumento di lavoro quotidiano per un docente di diritto romano.
Tale intuizione si tramuta in bisogno di comunione, desiderio di consacrazione che sarà appagato divenendo terziario domenicano già nel 1925, a Messina, assumendo il nome di Fra Raimondo, nel primo nucleo di terziari fondato dal padre Enrico de Vita OP in Sicilia, e successivamente, grazie ad una speciale dispensa anche terziario francescano attraverso la fondazione dell'Istituto della Regalità voluto dal francescano Padre Agostino Gemelli. La Pira sceglie di essere "libero apostolo del Signore", come lui stesso si definisce cercando la sua missione nella società.

Nel 1926 si trasferisce a Firenze seguendo il professor Emilio Betti, relatore della sua tesi di Diritto romano; qui, in qualità di terziario La Pira viene ospitato presso il convento domenicano di San Marco, si laurea con lode presentando una tesi sulla successione ereditaria. L'anno dopo divenne professore supplente di Diritto Romano all'Università di Firenze e nel 1934 diventa ordinario. Fonda la "Messa di San Procolo", per l'assistenza materiale e spirituale dei poveri.

Nel 1939 fonda «Principi», rivista in lingua latina volta alla difesa dei diritti della persona umana, critica il fascismo e condanna apertamente l'invasione della Polonia. La rivista è soppressa dal regime. In quegli anni tra i suoi studenti c'è anche il sociologo Franco Fortini. La Pira crea nel 1943 il foglio clandestino San Marco. Il regime fascista lo avverserà e costringerà La Pira ad interrompere le pubblicazioni. Nel luglio dello stesso anno prese parte ai lavori che portarono alla redazione del Codice di Camaldoli.
In seguito è ricercato dalla polizia e fugge prima a Siena e poi a Roma. Tornerà alla sua vita fiorentina nel 1945.

Nel 1946 viene eletto all'Assemblea costituente ed è parte integrante del nucleo centrale del "dossettismo": nello stesso anno insieme a Giuseppe Dossetti e ad altri, fonda l'associazione Civitas Humana; fa parte della cosiddetta "comunità del porcellino", collabora alla rivista "Cronache Sociali". Il gruppetto di sodali è formato da Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, La Pira, Giuseppe Lazzati.
La Pira svolge un'opera apprezzata nell'ambito della "Commissione dei 75", specialmente nella redazione dei Principi Fondamentali. L'attuale Art. 2 della Costituzione viene modellato attorno alla sua proposta iniziale. L'Articolo 2 della Costituzione Italiana recita: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
La sua Relazione alla Sottocommissione I accostò la centralità dell'individuo secondo la tradizione cristiana alla religione di Stato di stampo hegeliano realizzata dal fascismo in Italia. A causa di tale esperienza storica trovava necessaria una specifica menzione dei diritti umani nella Costituzione italiana, per la prima volta nella storia dell'Occidente.

La Pira Sindaco

Il 6 luglio 1951 è eletto sindaco di Firenze. Tra i suoi primi atti volle, come gesto simbolico della sua linea politica, conferire al galeatese don Giulio Facibeni il titolo di Cittadino Benemerito di Firenze per la sua Opera della Divina Provvidenza Madonnina del Grappa.

Sarà sindaco per due momenti: 1951-1957 e 1961-1965. Tra le principali realizzazioni si ricordano la ricostruzione dei ponti Alle Grazie, Vespucci e Santa Trinita distrutti dalla guerra, la creazione del quartiere-satellite dell'Isolotto, l'impostazione del quartiere di Sorgane, la costruzione di moltissime case popolari, la riedificazione del teatro comunale, la realizzazione della centrale del latte, la ripavimentazione del centro storico. Firenze venne dotata di un numero di scuole tale da ritardare di almeno vent'anni la crisi dell'edilizia scolastica in città.

Con La Pira Firenze si gemella con Filadelfia, Kiev, Kyoto, Fez e Reims. Il segretario generale dell'ONU U Thant e l'architetto Le Corbusier vengono nominati cittadini onorari di Firenze. La Pira cerca di promuovere a Firenze il Comitato internazionale per le ricerche spaziali, una tavola rotonda sul disarmo, iniziative tese a mettere in luce il valore e l'importanza del terzo mondo e degli emergenti stati africani. Fra i protagonisti di queste iniziative c'è Ernesto Balducci. La Pira invita a Firenze il Presidente del Senegal Léopold Senghor. Per primo lancia l'idea dell'università europea da istituire a Firenze.

La Pira nel 1952 organizza il Primo Convegno internazionale per la pace e la civiltà cristiana. Da esso ha inizio un'attività, unica in Occidente, tesa a promuovere contatti vivi, profondi, sistematici tra esponenti politici di tutti i Paesi. Nel 1955 i sindaci delle capitali del mondo siglano a Palazzo Vecchio un patto di amicizia. A partire dal 1958 organizza i Colloqui mediterranei cui partecipano, tra gli altri, rappresentanti arabi ed israeliani. Nel 1959 La Pira, invitato a Mosca, parla (dopo il benestare papale, ma non quello del Ministro degli esteri italiano) al Soviet Supremo in difesa della distensione e del disarmo.
Negli anni difficili della crisi tra Stati Uniti e Unione Sovietica riuscì a far riunire a Firenze la nona sessione della tavola rotonda Est-Ovest sul disarmo. Nella città di Adjubei ricevette uno dei massimi dirigenti dell'Urss e la figlia di Krusciov.

Durante la guerra del Vietnam organizzò un simposio a Firenze, dal quale venne lanciato un appello per la pace.

Compì un viaggio ad Hanoi facendo tappa a Varsavia, Mosca, Pechino, riuscendo ad ottenere una proposta di pace che naufragò a causa di un'anticipazione sui giornali statunitensi.

A Palazzo Vecchio, nel 1958, ricevette la più alta autorità di Pechino. Destò scandalo e ilarità lo spiritoso saluto: Dica al suo Governo che la Repubblica popolare di San Procolo riconosce la Repubblica Popolare di Cina. È necessario ricordare che all'epoca la Repubblica Italiana riconosceva l'autorità della Repubblica di Cina (Taiwan) come unico governo legittimo cinese.
Nel 1965 si reca in Vietnam e incontra di persona Ho Chi Minh. Lavorarono insieme a una bozza di accordo bilaterale, ma la proposta sarà rifiutata l'anno dopo, quando il presidente degli USA Johnson ricevette da La Pira e Fanfani il messaggio di Ho Chi Minh. Alla conclusione della disastrosa esperienza bellica, gli USA accettarono condizioni decisamente più sfavorevoli di quelle proposte nella sua mediazione, conferma La Pira stesso.

La Pira servo di Dio

Giorgio la Pira si forma spiritualmente nell'Azione Cattolica Italiana; di ferrea formazione domenicana è importante anche il legame con la spiritualità francescana, come testimoniano le sue molteplici visite a La Verna, Assisi, ove ebbe frequentazione e rapporti epistolari con il presidente degli studi francescani Arnaldo Fortini e di conseguenza la devozione a santi francescani, quali Camilla da Varano, ossia la beata Battista. La spiritualità lapiriana è incentrata sulla visione profetica della storia (Mutuata dal profeta Isaia) e del tempo presente in cui continua l'azione di Dio. Partendo dalla attualità della Resurrezione, descritta come "Lievito trasformatore della realtà cosmica e storica", La Pira pone la figura di Cristo, vivente, come riconciliatore dell'uomo con Dio: attraverso l'incarnazione, ogni problema umano è visitato, nobilitato, riscattato, non solo una volta per tutte, ma continuamente nel corso della storia. A Cristo, sostiene La Pira, deve assimilarsi attraverso la grazia, come dice san Paolo, ogni fedele, nella sua vita attiva ed interiore. La Pira considera imperante la dimensione contemplativa nella vita interiore, di cui, considerato il suo impegno prevalentemente pubblico, sente la mancanza. Non ne dimentica invece l'importanza, come attestano le lettere al Carmelo (vedi nelle opere) in cui continuamente chiede che l'impegno politico sia accompagnato dall'impegno spirituale. La profonda azione sociale è, infatti, fondata sul comandamento dell'amore, inteso come la realizzazione del Corpo mistico della Chiesa nella storia dell'umanità.

Nel 1986 sotto papa Giovanni Paolo II è stata avviata la sua causa di beatificazione. A Firenze alcuni lo indicano come il "sindaco santo", come lo chiamavano i poveri della Messa di San Procolo. Il 4 aprile 2005 si è chiusa la fase diocesana della causa di beatificazione. Al termine i documenti sono stati inviati in Vaticano. A fine ottobre 2007, in previsione del trentennale della sua morte, le sue spoglie sono state traslate nella chiesa fiorentina di san Marco. 

Al di la dall'essere credenti o meno, sarete d'accordo con me nell'avere nostalgia di un uomo di tale levatura etica e morale.

Come servirebbe di questi tempi!

Martin Scorsese

Oggi, alla vigilia del suo 74° compleanno, propongo un approfondimento su uno dei siculo-americani più famosi, il grande regista Martin Scorsese .


Martin Charles Scorsese nasce a New York, il 17 novembre del 1942, figlio di Luciano Charles Scorsese e di Catherine Cappa, originari entrambi del Lower East Side di Manhattan. I nonni del regista, sia paterni che materni, erano immigrati italiani originari, rispettivamente, di Polizzi Generosa e di Ciminna (entrambi comuni della provincia di Palermo), giunti negli Stati Uniti agli inizi del XX secolo. Dopo i primi anni di vita trascorsi nel Queens, la famiglia Scorsese, in seguito a controversie con il proprietario della casa dove vivono in affitto, si vedono costretti a tornare a Manhattan, in Elizabeth Street, una delle vie principali della cosiddetta "Little Italy", quartiere dove Scorsese vive una travagliata adolescenza a causa del suo forte asma e della sua piccola stazza, che non gli permettono di inserirsi nelle gang della zona.

Parallelamente a questo suo emarginamento sviluppa una passione per il cinema, in particolare quello neorealista e western, e una forte credenza religiosa, arrivando a dire che gli unici luoghi in cui si sentisse davvero a suo agio fossero la chiesa e il cinema. L'asma gli procurò non pochi problemi, impedendogli anche di praticare attività sportive. Non possedendo una cinepresa, il giovane Scorsese realizza storyboard di film immaginari fin dalla pre-adolescenza, mostrando i disegni solamente al suo migliore amico.
Verso il 1956 studia per diventare prete, ma cambia presto idea non riuscendo a conciliare la vita di religioso con i propri ritmi, e nel 1960 si iscrive al corso di cinematografia della New York University, dove dirige i suoi primi cortometraggi in 16 mm.
I maggiori successi cinematografici della sua carriera sono:
Taxi Driver, film del 1976, un'immersione nella mente distorta di un reduce dal Vietnam che non riesce a reinserirsi nella società a causa degli orrori vissuti durante la guerra; rappresentato come una
discesa all'inferno è gran parte frutto del periodo di forte depressione vissuto da Schrader il quale ha riversato nella sceneggiatura tutte le sue ansie e insicurezze, portate in maniera cupa, nitida e sperimentale da Scorsese sullo schermo. Acclamato da critica e pubblico come un capolavoro fin dalla sua prima apparizione, è considerato uno dei film cardine della New Hollywood oltre che uno dei più disturbanti, radicali e rappresentativi dei cupi anni che stava passando non solo l'America ma gran parte del mondo occidentale, venendo all'unanimità considerato come uno dei più grandi film realizzati. Nel ruolo del protagonista fu scelto Robert De Niro, ed il film vinse la Palma d'oro al Festival di Cannes del 1976 aggiudicandosi anche quattro nomination ai Premi Oscar, lanciando il nome di Scorsese fra i registi più promettenti della sua generazione.

Toro scatenato, film del 1980 con Robert De Niro, la biografia del pugile italoamericano Jake LaMotta. Toro scatenato, girato per ragioni artistiche interamente in bianco e nero, divenne in breve un vero e proprio film cult, nel quale Scorsese riversò tutta la sua sofferenza realizzando il film che ha definito il suo stile radicale, aggiudicandosi due Premi Oscar, al miglior attore protagonista e al montaggio di Thelma Schoonmaker, e facendo uscire il regista dal limbo nel quale era precipitato. Toro Scatenato è considerato tra le pietre miliari del cinema statunitense, inserito al quarto posto nella classifica dei migliori film statunitensi di tutti i tempi dall'American Film Institute.

Nel 1986 Scorsese gira un film su commissione: Il colore dei soldi, con Paul Newman e Tom Cruise, sequel de Lo spaccone a 25 anni di distanza dal film originale. Il film frutta a Paul Newman l'Oscar al miglior attore ma viene generalmente considerato come uno dei film meno personali di Scorsese nonostante il grande successo di pubblico all'uscita al cinema.

Uno dei progetti che il regista sognava di fare fin dagli anni settanta era quello di fare un film sulla vita di Gesù basato sul libro L'ultima tentazione di Cristo di Nikos Kazantzakis, libro contestato dai religiosi più convinti per il suo descrivere Gesù come una divinità ma prima di tutto come un uomo, il quale più volte è sul punto di cedere alla tentazione di vivere come una persona normale e di rifiutare il destino predispostogli da Dio. Nel 1983 sembrava poter essere possibile fare il film, ma la Paramount rifiutò di produrlo a seguito delle polemiche da parte di associazioni cattoliche. Il sogno di Scorsese si avverò nel 1988 quando adattò per il grande schermo il romanzo a patto però di usare un budget modesto, il quale ha determinato una veloce realizzazione del film e un mancato completamento di tutte le intenzioni del regista. Il film che ne venne fuori provocò un grande scandalo: L'ultima tentazione di Cristo.

Nel 1991 Scorsese realizzò Cape Fear - Il promontorio della paura, remake dell'omonimo film del 1962 con protagonista ancora una volta Robert De Niro, nel ruolo di un fanatico che perseguita un avvocato e la sua famiglia per averlo condannato al carcere per quattordici anni, a causa di uno stupro. Nonostante i toni più commerciali della pellicola Scorsese non rinuncia a inserire le proprie tematiche come le religiosità e il peccato anche in questo film, ottenendo un grande successo al box office ma al tempo stesso di critica, facendo guadagnare a De Niro la sua ultima nomination agli Oscar come miglior attore e lanciando la giovane Juliette Lewis.


Nel 2002 dopo varie vicissitudini esce Gangs of New York. Girato quasi interamente nei maestosi set di Cinecittà, definito da Scorsese stesso come uno degli ultimi grandi kolossal realizzabili in studio, prima della totale supremazia del cinema digitale. Ridotto a quasi tre ore rispetto alle otto ore originali, il film ha incontrato problemi in produzione esaurendo il budget quando ancora dovevano essere terminate le riprese, costringendo Scorsese e una piccola parte della troupe a girare in grande velocità senza più gli attori principali sul set, e incontrò parecchie problematiche anche in fase di montaggio. Il risultato del film è un'epopea epica, violenta e analizzatrice degli istinti degli uomini che hanno forgiato l'America, nata e cresciuta su violente battaglie fra bande per la supremazia sul territorio. Il film è la prima collaborazione fra Scorsese e Leonardo DiCaprio, oltre che seconda collaborazione del regista con Daniel Day-Lewis. Guadagnandosi dieci nomination agli Oscar non ne vinse nemmeno uno, sancendo comunque un ritorno di Scorsese a grandi produzioni.

Nel 2004 è la volta di The Aviator, film basato sulla vita della leggenda di Hollywood Howard Hughes, per il quale il protagonista Leonardo DiCaprio ha vinto il Golden Globe come miglior attore e Cate Blanchett l'Academy Award come migliore attrice non protagonista. Anche in questo caso si è trattato di una produzione imponente, costato 110 milioni di dollari, ad oggi il film più costoso di Scorsese, premiato con 5 Oscar, di cui 4 in categorie tecniche: miglior fotografia (Robert Richardson), miglior montaggio (Schoonmaker), miglior scenografia (Ferretti-Lo Schiavo), migliori costumi (Sandy Powell). Il film scarnifica la vita di Hughes mostrando tutte le sue paure e ossessioni, come il disturbo ossessivo-compulsivo, esibendo le sue manie di grandezza molte volte irrazionali, ma senza criticarle o elogiarle, mostrando come una persona capace di grandi cose non riesca a capire quando fermarsi, e volando troppo in alto finisce per bruciarsi, proprio come il protagonista del film.

Nel 2006 Scorsese torna a realizzare un film ad ambientazione gangster: The Departed, remake del film di Hong Kong del 2002 Infernal Affairs. Il film gioca sul ruolo dei due protagonisti, Leonardo DiCaprio, un poliziotto infiltrato nella cosca mafiosa di Frank Costello (interpretato da Jack Nicholson) e Matt Damon, viceversa, un infiltrato nella polizia che riferisce a Costello in anticipo le mosse delle forze dell'ordine. Per questo lavoro Scorsese riceve il suo primo Oscar come miglior regista e la pellicola viene premiata anche come miglior film, sceneggiatura non originale (a William Monahan) e montaggio (sempre alla Schoonmaker).

Anche se difficilmente leggerà questo post, voglio fargli gli auguri di buon compleanno, augurandomi che continui a regalarci le sue magnifiche storie ancora per tanti anni.

HAPPY BIRTHDAY MR. SCORSESE

Vincent Schiavelli

C’era una volta… Cosi cominciavano le fiabe di Andersen e dei fratelli Grimm.
Io voglio raccontarvene una non frutto della fantasia, ma della vita reale; che spesso supera la finzione. E’ la storia di un uomo, figlio di emigranti siciliani, cresciuto ascoltando le storie di una Sicilia povera, ma indimenticabile, raccontate dal padre Andrea.
Il protagonista di questa favola è Vincent Schiavelli:
Nacque a Brooklyn, New York l’11 novembre 1948.
Da adolescente ha frequentato la Bishop Loughlin Memorial High School. Ha studiato recitazione alla New York University.
Ha iniziato ad esibirsi sul palco nel 1960. Il primo ruolo cinematografico di Schiavelli fu nel 1971, nel film Taking Off di Milos Forman, in cui interpretava un consulente che ha insegnato ai genitori di adolescenti in fuga a fumare marijuana al fine di comprendere meglio le esperienze dei loro figli. Si mise in luce, nel protagonista del "pazzo" in Qualcuno volò sul nido del cuculo al fianco di Jack Nicholson ed in diversi film di Milos Forman, fino ad arrivare a partecipare a 98 films e 52 apparizioni come "guest star" in telefilms. Pur essendo eterosessuale, ha interpretato il primo ruolo gay della televisione americana, recitando nel 1972, il ruolo di Peter Panama nel telefilm The Corner Bar.
Schiavelli è stato sposato con l'attrice Allyce Beasley dal 1985 al 1988. Dal loro legame nel 1987 nacque il loro figlio Andrea.

Nel 1990 ha avuto un ruolo nel film Ghost - Fantasma diretto da Jerry Zucker. Nel 1992 sposò Carol Mukhalian, una arpista americana con cui rimase fino alla morte. Scrisse 3 libri tra cui "Many Beautiful Things: Stories and Recipes from Polizzi Generosa" pubblicato in Italia come "Broculinu America" edito da Sellerio, il racconto ironico di storie e ricette sulla vita dei siciliani nella Brooklyn di inizio secolo: il Papà Andrea era stato cuoco presso un barone siciliano, capostipite dell'emigrazione a «Bruculinu», da lui provengono tutte le ricette che Vincent interpretava alla perfezione.

La storia assume i contorni fiabeschi, quando nel 1995 realizzando che la sua malattia, la sindrome di Marfan, non gli avrebbe dato scampo, prende un volo per Palermo, all’aeroporto Punta Raisi prende un taxi: <<Portami a Polizzi!>>dice al conducente.
Giunto a Polizzi Generosa capisce che non sarebbe andato più via. Si trasferisce definitivamente lì. dove con la compagna Katia Vitale ha trascorso gli ultimi anni della sua vita.
In Sicilia girò i suoi ultimi film e si era anche dedicato al teatro curando la regia di uno spettacolo messo in scena a Palermo, "L'invidia di Assuntina".
Nel 2005 recitò nel film Miracolo a Palermo!, scritto e diretto da Beppe Cino con Tony Sperandeo e Maria Grazia Cucinotta.

Si spense nel dicembre del 2005, nella sua casa, all'età di 57 anni. Nella triste occasione ci fu lutto cittadino e la camera ardente fu allestita nella sala comunale del paese, dove è stato sepolto al cimitero di Polizzi Generosa.

Pina Patti Cuticchio

Giorni fa mio fratello ha fatto un rilievo: "Ma nel blog parli solo di uomini". Aveva ragione, per tale motivo ho realizzato questo approfondimento su  Pina Patti Cuticchio, madre di Mimmo Cuticchio, e autrice dei magnifici pannelli usati per le rappresentazioni del teatro dei Pupi siciliani.

Pina Patti Cuticchio nacque a Palermo il 2 gennaio 1926, nel 1941, sposando il teatrante Giacomo Cuticchio, comincia a girovagare per la Sicilia col suo teatrino dietro.
Durante questo peregrinare conosce l'opera dei Pupi, soprattutto, osserva coloro che realizzano i cartelloni, usati nelle rappresentazioni, con magnifiche pitture.
In quegli anni il marito viene chiamato alle armi, costringendo i Cuticchio a sospendere la propria attività.
Nell'assenza del marito Pina, rimasta sola e in attesa del primo figlio, subisce la distruzione della propria casa, in seguito ai bombardamenti alleati che distruggono anche i suoi amati Pupi.
Si trasferisce ad Augusta, sede della caserma dove presta servizio il marito. In seguito alla distruzione della città decidono di fuggire, in modo rocambolesco raggiungono Palermo, appena in tempo per la nascita della loro prima figlia.
L'attività teatrale viene ripresa, gli spettatori, però sono pochi e Pina comincia a vendere pane.
Per non abbandonare il teatro, che a Palermo rende poco, i Cuticchio cominciano a girare di paese in paese, generando, nel frattempo, altri sei figli.
Vedendo il gravoso costo, in termini di tempo e di denaro, per l'acquisto dei cartelloni; cominciò, contro il volere del marito, a dipingere i cartelloni che  entrano nelle produzioni degli spettacoli del teatrino di Via Bara all'Olivella.
Nel 1969 Pina e Giacomo aprirono quello che sarà il loro ultimo teatro a Palermo,  l'"Ippogrifo", per allestirvi spettacoli dedicati a un pubblico di turisti stranieri. Furono gli anni di maggiore crisi, e Pina riesce a tenere uniti al mestiere di puparo i tre figli maschi.

Dal 1973, anno in cui il figlio Mimmo apre il suo teatro dei pupi in via Bara all'Olivella e costituisce la Compagnia Figli d'Arte Cuticchio, Pina ha collaborato ininterrottamente alle rappresentazioni realizzando cartelloni, scene, costumi, sia per gli spettacoli tradizionali sia per quelli nuovi.
Morì a Palermo il 14 aprile 2013.

Luigi Capuana

Oggi propongo un approfondimento su Luigi Capuana (Mineo, 28 maggio 1839 – Catania, 29 novembre 1915) scrittore, critico letterario e giornalista siciliano, tra i padri fondatori del Verismo; autore del romanzo "Il marchese di Roccaverdina" ispiratore del film "Gelosia" di Pietro Germi.
Capuana nasce a Mineo, in provincia di Catania (nel 1839), da Gaetano Capuana e Dorotea Ragusa, in una famiglia di agiati proprietari terrieri; e a Mineo frequenta le scuole comunali. Nel 1851 si iscrive al Reale Collegio di Bronte che lascia dopo solo due anni per motivi di salute, proseguendo comunque lo studio da autodidatta.
Conseguita la licenza si iscrive, nel 1857, alla Facoltà di Giurisprudenza di Catania che abbandona nel 1860 per prendere parte all'impresa garibaldina in funzione di segretario del comitato clandestino insurrezionale di Mineo e in seguito come cancelliere nel nascente consiglio civico.
Risale al 1861 la leggenda drammatica in tre canti Garibaldi pubblicata a Catania dall'editore Galatola. Nel 1864 si stabilisce a Firenze per tentare "l'avventura letteraria", e vi rimarrà fino al 1868. A Firenze frequenta gli scrittori più noti dell'epoca, tra i quali Aleardo Aleardi, C. Capponi, C. Levi e nel 1865 pubblica i suoi primi saggi critici sulla "Rivista italica", diventando nel 1866 critico teatrale del quotidiano "La Nazione". Nel 1867 pubblica sul quotidiano fiorentino la sua prima novella dal titolo Il dottor Cymbalus che prende a modello il racconto di Dumas figlio La boîte d'argent. Tra le opere narrative migliori di Capuana sono da annoverare le novelle ispirate alla vita siciliana, ai personaggi e ai fatti grotteschi e tragici della propria provincia, come nel realismo bozzettistico di alcuni racconti della raccolta "Le paesane" e in altre che non presentano situazioni drammatiche, ma sono divertenti e cercano sempre di mettere in evidenza il lato comico anche se il caso si fa serio. Nelle novelle numerosi sono i ritratti dei canonici, dei prevosti, dei frati cercatori con la passione della caccia, del gioco e della buona tavola, tipici di tanti personaggi della narrativa del secondo Ottocento.

Le fiabe, scritte in una prosa svelta, semplificata al massimo, ricche di ritornelli, cadenze e cantilene rimangono forse le opere più felici del Capuana. Esse non nascono da un interesse per il patrimonio folkloristico siciliano e non vengono raccolte come documenti della psicologia popolare, ma nascono dall'invenzione. Di queste l'unico volume reperibile è: Si conta e si racconta (Muglia Editore, 1913; Pellicanolibri, 1985).
Nel 1868 ritorna in Sicilia pensando di rimanervi per poco tempo ma la morte del padre e i problemi economici lo costringono a rimanere nell'isola.
Diventa dapprima ispettore scolastico, poi consigliere comunale di Mineo e infine viene eletto sindaco del paese. In questo periodo si accosta alla filosofia idealistica di Hegel e ha modo di leggere Dopo la laurea, un saggio del medico hegeliano e positivista Angelo Camillo De Meis in cui il pensiero filosofico si salda alla problematica letteraria, rimanendo entusiasta della sua teoria dell'evoluzione e morte dei generi letterari.

Nel 1875, Capuana si reca per un breve soggiorno a Roma e nello stesso anno, su consiglio dell'amico Giovanni Verga, si trasferisce a Milano dove inizia a collaborare al Corriere della Sera come critico letterario e teatrale.
Nel 1877 esce a Milano la sua prima raccolta di novelle, Profili di donne, edita da Brigola e nel 1879, ancora influenzato da Émile Zola, il romanzo Giacinta, considerato il manifesto del verismo italiano.
Nel 1880, nello stesso anno in cui Verga pubblica Vita dei campi, Capuana, che è entusiastico divulgatore del naturalismo francese e contribuisce con Verga a elaborare la poetica del verismo italiano, raccoglie i suoi articoli su Zola, i Goncourt, Verga e altri scrittori dell'epoca in due volumi di Studi sulla letteratura contemporanea (1890-1892) e ritorna a Mineo e per un breve periodo a Ispica, dove inizia a scrivere il romanzo che lo renderà celebre vent'anni dopo, dal titolo Il Marchese di Roccaverdina (originariamente Il Marchese di Santaverdina), ambientato proprio nella cittadina ragusana.
Dal 1882 al 1883 lo scrittore risiede a Roma e dirige il "Fanfulla della domenica". Gli anni fino al 1888 li trascorrerà a Catania e a Mineo, per tornare infine a Roma dove rimarrà fino al 1901.
In questi anni la sua produzione letteraria fu ricchissima.
Nel 1882 pubblica una raccolta di fiabe dai molti motivi folkloristici, C'era una volta; in seguito, dà alle stampe le raccolte di novelle Homo (1883), Le appassionate (1893), Le paesane (1894) e i migliori saggi critici nei quali, staccandosi dal naturalismo, rivela una propria estetica dell'autonomia dell'arte. Sempre di questo periodo sono i suoi romanzi più noti, tra i quali Profumo, che apparve dapprima in 10 puntate su "Nuova Antologia" dal luglio al dicembre 1890 e in volume nel 1892 e Il Marchese di Roccaverdina (1901).
Nel maggio del 1888 va in scena, al teatro Sannazaro di Napoli, una commedia in cinque atti tratta dal romanzo Giacinta con buon successo di critica e di pubblico.
Nel 1900 lo scrittore ottiene la cattedra di letteratura italiana presso l'Istituto Femminile di Magistero a Roma, approfondisce la sua amicizia con D'Annunzio e conosce Pirandello che è suo collega al Magistero. Lavora inoltre al romanzo Rassegnazione che esce in cinque puntate su "Flegrea" dall'aprile al maggio dello stesso anno. Nel 1898, per i tipi di Giannotta esce a Catania Gli "ismi" contemporanei.
Nel 1902 Capuana fece ritorno a Catania, per insegnare lessicografia e stilistica alla locale università. In questi anni si dedicò alla stesura del romanzo Rassegnazione che uscì sulla rivista "Flegrea" nell'aprile e maggio del 1900 e nel 1907 pubblicato da Treves in volume. Tra le sue ultime opere vi sono i volumi di fiabe e novelle, Coscienze (1905), Nel paese di Zagara (1910), Gli Americani di Rabbato (1912).

Contribuisce al genere fantascientifico con alcuni dei suoi racconti fantastici, tra i quali Nell'isola degli automi (1906), Nel regno delle scimmie, Volando e La città sotterranea del 1908, L'acciaio vivente (1913, ne Il Giornale d'Italia).

Muore il 29 novembre 1915 a Catania, poco dopo l'entrata in guerra dell'Italia.

LA POETICA
Come abbiamo già visto, Capuana fu uno dei principali esponenti del Verismo italiano.
Tale corrente letteraria poneva come regola fondamentale quella di ritrarre direttamente dal vero. Lo scrittore doveva assumere dalla vita contemporanea la materia e narrare fatti realmente accaduti, senza limitarsi a ritrarli dall'esterno, ma ricostruendo la storia cogliendo e rivelando tutto il processo mediante il quale il fatto si era prodotto.
La ricostruzione doveva avvenire attraverso il metodo scientifico, considerato il più idoneo a far parlare le cose direttamente impedendo che l'autore si servisse dei fatti come di un pretesto per esprimere sé stesso. Bisognava pertanto usare l'impersonalità.Per poter inoltre condurre una ricostruzione del tutto veritiera era necessario usare una prosa duttile e viva, non retorica, che risultasse aderente ai fatti. Si richiedeva pertanto un linguaggio che non alterasse in nessun modo il mondo che si voleva rappresentare.

IL MARCHESE DI ROCCAVERDINA
Pubblicato nel 1901, dopo circa quindici anni di lavoro, il romanzo intreccia motivi di carattere sociologico, sulla linea della più tipica narrativa verista, all'elemento psicopatologico. La storia narrata è quella del marchese di Roccaverdina che, per ragioni di convenienza sociale, dà in sposa la giovane contadina che tiene in casa come serva-amante a un suo sottoposto, Rocco Criscione, che si impegna a rispettarla come una sorella ma che in seguito, avvelenato dal sospetto, proprio il marchese uccide a tradimento, lasciando che venga incolpato del delitto un altro contadino. La vicenda, che si snoda sullo sfondo di una campagna siciliana arida e desolata con un ritmo cupo e ossessivo, è narrata in flashback dal marchese come ricordo angoscioso e come confessione. Il tema dominante, tutt'altro che facile, è quello della progressiva follia del protagonista dalle prime paure spiritistiche ai vari tentativi di placare l'angoscia e il rimorso con la religione, con il lavoro, con il matrimonio, con il materialismo e l'ateismo, fino alla follia, alla demenza, alla morte. Esso è risolto felicemente dal narratore con una formula realistica che non insiste sul caso patologico, come in Giacinta e in Profumo, ma si serve di una vicenda umana per risalire alla complessa psicologia dei personaggi. Prevale in questa opera di Capuana la fredda analisi a danno dell'abbandono poetico e fantastico.
Il marchese di Roccaverdina è stato alla base di due film con lo stesso titolo: Gelosia. Il primo è di Ferdinando Maria Poggioli, del 1942, sceneggiato da Sergio Amidei, con Luisa Ferida nel ruolo di Agrippina Solmo e Roldano Lupi in quello del marchese. Il secondo, del 1953, è invece diretto da Pietro Germi, su sceneggiatura di Giuseppe Berto, con Marisa Belli (Agrippina), Erno Crisa (marchese) e Paola Borboni. Entrambi sono ottimi risultati, il primo con una forte impronta verista, il secondo con un'ottima ambientazione.


Ettore Majorana


Vi propongo un approfondimento sulla vita e le rivoluzionarie scoperte del fisico siciliano Ettore Majorana.

"Misteriosa scomparsa del fisico Ettore Majorana" cosi, probabilmente, titolavano i giornali il 28 marzo 1938, all'indomani della sua sparizione. Prima di raccontare la sua, forse, fine, traccerò una sua breve biografia.


Nacque, penultimo di cinque fratelli, a Catania il 5 agosto 1906.

Ettore rivelò da subito una naturale attitudine per la matematica, svolgendo a memoria calcoli complicati fin dall'età di 5 anni e inoltre si dedicò allo studio personale della fisica, disciplina che sin da piccolo lo affascinava. Alla sua educazione sopraintese (sino a circa nove anni) il padre. Ettore terminò le elementari e successivamente il ginnasio (completato in soli quattro anni) presso il collegio "Massimiliano Massimo" dei Gesuiti a Roma.
Quando anche la famiglia si trasferì a Roma nel 1921, continuò a frequentare l'istituto Massimo come esterno per il primo e secondo anno del liceo classico. Frequentò il terzo anno presso l'istituto statale Torquato Tasso, e nella sessione estiva del 1923 conseguì la maturità classica.
Terminati gli studi liceali Ettore si iscrisse alla facoltà d'Ingegneria. Fra i suoi compagni di corso vi erano il fratello Luciano, Emilio Segrè ed Enrico Volterra.

Emilio Segrè, giunto al quarto anno di studi d'ingegneria, decise di passare a Fisica: a questa scelta, che in lui meditava da tempo, non erano stati estranei gli incontri avuti (estate del 1927) con Franco Rasetti ed Enrico Fermi, allora ventiseienne, da poco nominato professore ordinario di fisica teorica all'Università di Roma, cattedra creata in quel periodo da Orso Mario Corbino.
Spinto da Segrè Majorana passò a Fisica e cominciò a frequentare l'Istituto di Via Panisperna regolarmente fino alla laurea, meno di due anni dopo. Si laureò, con il voto di 110/110 e lode, il 6 luglio 1929, relatore Enrico Fermi, presentando una tesi sulla teoria quantistica dei nuclei radioattivi.
In quel periodo effettuò diversi studi, alcuni dei quali confluirono in diversi articoli su argomenti di spettroscopia e su un articolo sulla descrizione di particelle con spin arbitrario. Effettuò anche brevi studi su moltissimi argomenti che spaziavano dalla fisica terrestre all'ingegneria elettrica, alla termodinamica, allo studio di alcune reazioni nucleari non molto diverse da quelle che sono alla base della bomba atomica.
In questo periodo decise di trasferirsi all'estero (Lipsia e Copenaghen) e gli fu assegnata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche una sovvenzione per tale viaggio che ebbe inizio alla fine di gennaio del 1933 e durò circa sei mesi. L'incontro con Werner Heisenberg fu proficuo, tanto che questi riuscì (lì dove Fermi e gli altri avevano fallito) a far pubblicare a Majorana Über die Kerntheorie (Sulla teoria nucleare), in Zeitschrift für Physik (Giornale di Fisica).

Al suo ritorno a Roma, si recò sempre più saltuariamente all'Istituto di Fisica di via Panisperna. Sovente se ne stava a casa, non riceveva alcuno e respingeva la corrispondenza scrivendoci di proprio pugno si respinge per morte del destinatario. Curava anche poco l'aspetto fisico e si era lasciato crescere barba e capelli. Ma quello che è certo è che non cessava di studiare: i suoi studi si erano ampliati. Questo è il periodo più oscuro della sua vita: non si sa quale fosse la materia dei suoi studi, anche se qualcosa si può dedurre dalle sue lettere - in particolare da una fitta corrispondenza con lo zio Quirino, noto fisico sperimentale, che stava studiando la fotoconducibilità di lamine metalliche.
Nel 1937 Ettore Majorana accettò, dopo aver rifiutato Cambridge, Yale e Carnegie Foundation, la cattedra di professore di Fisica teorica all'Università di Napoli, dove si legò d'amicizia con Antonio Carrelli, professore di Fisica sperimentale presso lo stesso Istituto di Fisica.
Anche a Napoli Majorana condusse una vita estremamente ritirata, con i suoi malanni che gli davano fastidio e che si ripercuotevano inevitabilmente sul suo carattere e sul suo umore.

LE SCOPERTE

Gli studi scientifici di Majorana diedero un contributo fondamentale allo sviluppo della fisica moderna e affrontarono in modo originale molte questioni: nella sua prima fase pubblicò i suoi studi riguardanti problemi di spettroscopia atomica, la teoria del legame chimico (dove dimostrò la sua conoscenza approfondita del meccanismo di scambio degli elettroni di valenza), il calcolo della probabilità di ribaltamento dello spin (spin-flip) degli atomi di un raggio di vapore polarizzato quando questo si muove in un campo magnetico rapidamente variabile; inoltre si dedicò intensamente alla meccanica quantistica, all'interno della quale lavorò su numerose formule scientifiche dando anche una teoria relativistica sulle particelle ipotetiche.

Il maggior contributo scientifico di Ettore Majorana è tuttavia rappresentato dalla seconda fase della sua produzione che comprende tre lavori: la ricerca sulle forze nucleari oggi dette alla Majorana, la ricerca sulle particelle di momento intrinseco arbitrario e la ricerca sulla teoria simmetrica dell'elettrone e del positrone. Famosa è anche l'equazione di Majorana. Majorana è ricordato dalla comunità scientifica internazionale per avere dedotto l'equazione a infinite componenti che formano la base teorica dei Sistemi quantistici aperti (computazione quantistica, crittografia e teletrasporto). È, infine, insolito ricordarlo per avere introdotto la probabilità che da una determinata coppia nasca un figlio maschio.

Per quanto riguarda la scoperta dei "Fermioni di Majorana", ovvero, le particelle che sono anche le proprie antiparticelle, bisogna dire che a causa dell'inosservabilità del fenomeno in natura, negli anni, si sono succeduti parecchi studi per verificarne la veridicità, tentando di rilevare il "doppio decadimento beta senza neutrini".
Uno di questi l'EXO-200, i cui risultati sono stati pubblicati nel 2012 non è riuscito nell'intento.
Altri due tentativi sono stati realizzati rispettivamente, dall'esperimento "GERDA" e dal "NEMO" entrambi con esiti negativi; adesso si aspetta il "SUPERNEMO" che avrà i medesimi obiettivi ma potrà usufruire di strumentazioni molto più potenti.
A mio avviso, i tentativi fin qui realizzati, non hanno avuto tecnologie in grado di competere con la mente di Majorana.
"La mente batte la macchina".



LA MISTERIOSA SCOMPARSA

Tante le ipotesi sulla fine del Majorana, ma partiamo dai dati certi: 
Nel marzo '38 prelevò l'equivalente di dieci mila dollari attuali è unito a questo scomparve il suo passaporto. La sera del 25 marzo 1938 Ettore Majorana partì da Napoli ove risiedeva all'albergo "Bologna" in via Depretis 72, con un piroscafo della società Tirrenia alla volta di Palermo, ove si fermò un paio di giorni: il viaggio gli era stato consigliato dai suoi più stretti amici, i quali lo avevano invitato a prendersi un periodo di riposo.

Il giorno stesso, prima di partire, aveva scritto all'amico Carrelli la seguente missiva:



« Caro Carrelli, ho preso una decisione che era ormai inevitabile. Non vi è in essa un solo granello di egoismo, ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti. Anche per questo ti prego di perdonarmi, ma soprattutto per aver deluso tutta la fiducia, la sincera amicizia e la simpatia che mi hai dimostrato in questi mesi. Ti prego anche di ricordarmi a coloro che ho imparato a conoscere e ad apprezzare nel tuo Istituto, particolarmente a Sciuti; dei quali tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo. »

Ai familiari aveva invece scritto:



« Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all'uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi. »



Da quanto detto Majorana sembra deciso al suicidio ma, invece, non agì in tal senso, come si evince da un'altra lettera datata 26 marzo 1938:



« Caro Carrelli,


Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all'albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunziare all'insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli. »



Ma Majorana scomparve.

Come dicevo, tante le ipotesi sulla scomparsa, a parte il suicidio, alcune (ipotesi) lo vogliono tornato in Germania, altre emigrato in Argentina ed altre ancora monaco gesuita.
Le piste più verosimili, secondo me, sono due:
La prima, nata negli anni '70, lo vuole nomade in Sicilia, infatti, un certo Tommaso Lipari girava per le strade di Mazara del Vallo, dove trovò la morte il 9 luglio del 1973. Si trattava di un barbone particolare, dotato di una brillante conoscenza delle materie scientifiche, che lo portava a risolvere i compiti degli scolari che incontrava; ma questo non significa che fosse Majorana. Un abitante del paese, Armando Romeo, disse che il Lipari gli aveva mostrato una cicatrice sulla mano destra, tipica del Majorana; inoltre usava un bastone con incisa la data del 5 agosto 1906, ovvero la data di nascita del fisico. Infine, al funerale di Lipari parteciparono tante persone, troppe per quello che è di solito l'estremo saluto a un barbone, e suonò la banda del paese. Sul caso Lipari intervenne anche l'allora procuratore di Marsala, Paolo Borsellino: nel 1948 un certo Tommaso Lipari era stato rilasciato dalla galera (dov'era finito per un piccolo reato), ed era così possibile confrontare la sua firma con quella del barbone. Borsellino riscontrò tra loro una tale somiglianza che si sentì di concludere che appartenessero alla stessa persona, escludendo quindi un'"ipotesi Majorana".

La seconda passa per la trasmissione "Chi l'ha visto?", infatti, nel 2008 fu intervistato un italiano, emigrato in Venezuela a metà degli anni cinquanta, il quale espresse il convincimento di aver frequentato a lungo Majorana, anche se questi non gli avrebbe mai rivelato la propria identità. Il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani della Procura della Repubblica di Roma, si convinse ad affidare ai carabinieri verifiche ulteriori in Argentina e Venezuela, ipotizzando che lo scienziato catanese poteva essere ancora in vita nel periodo 1955-59. Il 3 febbraio 2015 la Procura della Repubblica di Roma, in seguito all'apertura di un fascicolo nel 2011 sulla scomparsa del fisico, ha richiesto l'archiviazione dell'indagine. Il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani, titolare dell'inchiesta, ha accertato la presenza di Ettore Majorana nella città venezuelana di Valencia fra il 1955 e il 1959. I Ris dei carabinieri hanno accertato la sua identità in una foto scattata in Venezuela nel 1955 in compagnia dell'emigrato italiano Francesco Fasani. Ettore Majorana si faceva chiamare Sig. Bini. Nella sua richiesta di archiviazione il PM Laviani ha scritto: "I risultati della comparazione hanno portato alla perfetta sovrapponibilità" dei particolari anatomici di Majorana (fronte, naso, zigomi, mento e orecchio) con quelle del padre. Il Fasani inoltre ha fornito una cartolina che Quirino Majorana, fratello del padre di Ettore e anch'egli fisico di fama mondiale, spedì nel 1920 all'americano W.G. Conklin, e ritrovata dallo stesso Fasani nella vettura di Bini-Majorana. Resta un mistero il motivo del suo espatrio con falso nome e quale sia stato il suo destino dopo il 1959.

Un altra ipotesi è quella di Sciascia che nel saggio "La scomparsa di Majorana", sostiene che il grande fisico si sia rifugiato in un convento, spaventato dalla possibilità che una scoperta sull'uso bellico dell'energia atomica finisse nelle mani sbagliate.

Al di là della misteriosa fine, rimangono le sue eccezionali scoperte, che lo pongono tra i migliori fisici di sempre.

Renato Guttuso

Renato Guttuso nacque il giorno di santo Stefano del 1911 nella cittadina siciliana di Bagheria. Il padre, il cavaliere Gioacchino Guttuso, era agrimensore e di lui, nella collezione donata al Comune di Bagheria, esistono vari ritratti: il primo, addirittura risalente al 1925, dimostra il genio precoce dell'artista; altri con riga e squadra, ne sottolineano la professione e l'ammirazione per l'uomo tutto d'un pezzo appassionato di lettere e di arti, con il culto della libertà trasmessagli dal padre Ciro, che aveva combattuto con Garibaldi. L'adolescenza borghese fu fitta di stimoli per il futuro pittore.
Il giovane Guttuso abitava in una casa vicino alle ville Valguarnera e Palagonia, delle quali ritrasse poi particolari in quadri successivi e s'ispirava agli scogli dell'Aspra; tra le gite al mare e i primi amori visse tutta la crisi siciliana del primo dopoguerra, durante la quale ebbe inizio lo scempio architettonico e sociale. A Palermo, e nella stessa Bagheria, vide in completa decadenza la nobiltà delle splendide ville settecentesche, coi loro mostri famosi e l'avanzare di un vero massacro urbanistico e di lotte di potere all'interno del comune, che scossero il temperamento di Guttuso, mentre la famiglia era segnata da ristrettezze economiche a causa dell'ostilità di clericali e fascisti nei confronti del padre di Renato.
Questi, sentendo sempre più forte l'inclinazione alla pittura, si trasferì a Palermo, per compiere gli studi liceali, e poi frequentare l'Università (dove lo troviamo iscritto al GUF), classificandosi al 2º posto per la critica d'arte ai Littoriali della cultura e dell'arte del 1937 a Napoli, mentre in quelli del 1938, a Palermo, presentò il quadro Fucilazione in campagna, dedicato al poeta Garcia Lorca fucilato dai franchisti[4]. La sua formazione si modellò sulle correnti figurative europee, da Courbet a Van Gogh a Picasso e lo portò a Milano e a viaggiare per l'Europa. Nel suo espressionismo si fecero via via sempre più forti i motivi siciliani quali i rigogliosi limoneti, l'ulivo saraceno, il Palinuro, tra mito e solitudine isolana che, inviati nel '31 alla I Quadriennale di Roma, confluirono in una mostra collettiva di sei pittori siciliani, accolti dalla critica – dice Franco Grasso nella citata monografia – come «...una rivelazione, un'affermazione siciliana».
Tornato a Palermo, aprì uno studio in Corso Pisani e con la pittrice Lia Pasqualino Noto e gli scultori Giovanni Barbera e Nino Franchina formò il "Gruppo dei Quattro".
Rifiutato ogni canone accademico, con le figure libere nello spazio o la ricerca del puro senso del colore, Guttuso s'inserì nel movimento artistico "Corrente", che con atteggiamenti scapigliati s'opponeva alla cultura ufficiale e denotava una forte opposizione antifascista nelle scelte tematiche negli anni della guerra di Spagna e che prepararono la seconda guerra mondiale.

Durante la guerra continua la straordinaria produzione artistica dipingendo nudi, paesaggi, nature morte e realizzando la Crocefissione (1940-41), la sua opera più famosa ed uno dei quadri più significativi del Novecento.
Lui stesso chiarisce il significato dell'opera: "questo è un tempo di guerra. Voglio dipingere questo supplizio del Cristo come scena d'oggi. ... come simbolo di tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere, supplizio per le loro idee". Il quadro, presentato al premio Bergamo nell'autunno del 1942, dove riceverà il secondo premio, suscita un grande scandalo e il Vaticano proibisce ai religiosi di guardare l'opera. Nel 1940 al Teatro delle Arti di Roma, diretto da Anton Giulio Bragaglia, Renato Guttuso fa il suo esordio nella scenografia musicale, firmando scene e costumi per l'Histoire du Soldat.
Nel 1943 lascia Roma per motivi politici e partecipa attivamente alla resistenza antifascista. Della lotta partigiana ha lasciato una struggente testimonianza artistica nella serie di disegni realizzati con inchiostri delle tipografie clandestine intitolati Gott mitt Uns.

Nel ’45 a Parigi con Pablo Picasso stringe una amicizia che durerà tutta la vita.
Guttuso nello studio di Villa MassimoIn Italia assieme ad alcuni artisti ed amici tra i quali Birolli, Vedova, Marchiori, il gallerista Cairola fonda il movimento Fronte Nuovo delle Arti, un raggruppamento di artisti molto impegnato politicamente con l'obbiettivo di recuperare le esperienze artistiche europee che a causa del fascismo erano poco conosciute in Italia.
Nella sua pittura sono presenti temi sociali e di vita quotidiana: picconieri della pietra dell'Aspra, zolfatari, cucitrici, manifestazioni di contadini per l'occupazione delle terre incolte.
Nel '47 trasferisce il suo studio a Villa Massimo. Nello stessso anno a Venezia con le scene e i costumi per Lady Macbeth di Sostakovic, in prima assoluta per l'Italia, prosegue la collaborazione con l'opera e con il coreografo Aurele Millos.

Nel 1950 otttiene a Varsavia il premio del Consiglio Mondiale per la Pace, nello stesso anno tiene la sua prima personale a Londra.
A Roma al Teatro dei Satiri curerà le scenografie e i costumi per "Madre Coraggio e i suoi figli" di Bertolt Brecht, in prima assoluta per l'Italia.
E' sempre presente alle Biennali di Venezia con grandi quadri, nel '52 con la Battaglia di Ponte dell'Ammiraglio, nel '54 con Boogie Woogie, nel '56 con la Spiaggia suscitando discussioni e dibattitti.
Sposa Mimise; Pablo Neruda, che gli ha dedicato una sentita poesia, sarà testimone delle loro nozze.

Collabora alle più importanti riviste italiane e internazionali con scritti di teoria e critica d'arte, prendendo posizione nel dibattito sul realismo. Dipinge La Discussione che verrà acquistato dalla Tate Gallery di Londra. Lavora all'illustrazione della Divina Commedia che sarà pubblicata nel '61 da Mondadori. Elio Vittorini scrive un'importante monografia sul pittore mentre l'amico Pasolini scriverà un'introduzione per un suo libro di disegni.
A New York, la Aca-Heller Gallery gli dedica un'importante mostra.
Il Museo Puskin di Mosca gli dedica un'importante retrospettiva nel '61.
Il Museo Stedelick di Amsterdam gli dedica un'antologica di grande successo che sarà poi ospitata anche al Palais de Beaux Arts di Charleroi mentre nel '63 si apre a Parma una sua ampia mostra antologica, presentata da Roberto Longhi. Sempre a Parma, nello stesso anno, curerà scene e costumi per il Macbeth di Verdi.
Nel '65 elabora il tema del lettore di giornale e quello dell'Edicola che lo porterà a realizzare la sua unica grande scultura.

Guttuso nel '65 si trasferisce a Palazzo del Grillo dove continuerà ad abitare e lavorare fino alla morte.
Nel '66 realizza il grande ciclo dell'Autobiografia, una serie di dipinti che costituiranno il nucleo di importanti antologiche ospitate in vari musei europei. A questo ciclo Werner Haftmann dedicherà un'importante monografia. Tra i quadri più belli e significativi Gioacchino Guttuso Agrimensore (1966), omaggio al padre ritratto nell'erba dietro il teodolite. Collabora alla realizzazione delle scene teatrali per il Contratto di Eduardo de Filippo, suo grande amico.
Nel '71 riceve dall'Università di Palermo, la laurea Honoris Causa e gli sono dedicate due importanti antologiche: una a Palermo al Palazzo dei Normanni con testi di Leonardo Sciascia, Franco Grasso e una al Musee d'Art Moderne de la Ville di Parigi.

Nel 1972 riceve il premio Lenin e gli viene dedicata una grande mostra Guttuso mentre dipinge i funerali di Togliattiall'Accademia delle arti di Mosca. Una grande mostra retrospettiva percorre l'Europa orientale toccando Praga, Bucarest, Bratislava, Budapest.

Dipinge il grande quadro la Vucciria (1974) che affida all'università di Palermo e nel '76 dipinge il Caffè Greco (ora Collezione Ludwig di Colonia.)

Illustra i Malavoglia di Verga nel 1978 e l'Eneide di Virgilio nel 1980. Viene eletto Senatore, nelle liste del PCI, nel collegio di Sciacca.
Nel 1973 Guttuso sceglie un importante nucleo di opere, sue e di altri artisti, che costituiranno la base per istituire a Bagheria la Galleria civica.

 Nel 1981 Giuliano Briganti scrive la presentazione per la sua mostra a Roma sul ciclo delle Allegorie, della Malinconia e della sera.
Il centro di cultura di Palazzo Grassi di Venezia gli dedica una importante mostra antologica nell'82, a cura di Maurizio Calvesi, Cesare Brandi e Vittorio Rubiu.
Nel 1983 affresca una cappella del Sacromonte di Varese con la Fuga in Egitto.
Vengono pubblicati, a cura di Enrico Crispolti, i primi tre volumi del catalogo generale dei suoi dipinti.
Nel 1985 intraprende un'opera monumentale, affrescando l'intera volta ( più di 120 mq. di pittura) del soffitto del teatro lirico Vittorio Emanuele di Messina, rappresentando la leggenda del Cola Pesce.
Nel 1986 dipinge un ciclo di opere dedicato al tema del gineceo che culmina nel quadro "Nella stenza le donne vanno e vengono...", ultimo grande sforzo del pittore che resterà incompiuto.

Il 18 gennaio del 1987 muore lasciando alcune opere, tra le più importanti, alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma. Altre opere e una ricca raccolta documentale le ha già affidate al museo che la sua città natale, Bagheria, gli ha intitolato. Il Museo Guttuso, che ha sede nella settecentesca Villa Cattolica, raccoglie così la più ampia collezione di opere, quadri, disegni e grafica dell'artista, e nel giardino della Villa conserva la grande Arca funebre dedicatagli dal suo amico Giacomo Manzù, dove egli riposa. Subito dopo la morte viene organizzata dal Museo Guttuso di Bagheria, a cura di Maurizio Calvesi, con il contributo dei più importanti critici italiani, la mostra "Dagli esordi al Gott mitt Uns".
Dopo la sua morte, il figlio adottivo Fabio Carapezza Guttuso fonda gli Archivi Guttuso, cui destina lo studio di Piazza del Grillo, e integra la collezione del museo di Bagheria. Gli Archivi organizzano numerose mostre, tra queste due antologiche del pittore, una in Germania nel '91 e l'altra nel '96 a Londra e Ferrara; il completamento, in collaborazione con Enrico Crispolti, del Catalogo Ragionato Generale dei Dipinti di Renato Guttuso; e nel decennale della morte, una grande mostra, incentrata sulla collaborazione tra Guttuso e il teatro musicale, al teatro Massimo di Palermo. Infine curano, per la Rizzoli nel 1999, una completa, monografia dedicata all'Artista.

Salvatore Quasimodo

Di te amore m’attrista
mia terra, se oscuri profumi
perde la sera d’aranci
o d’oleandri, sereno
cammina con rose il torrente
che quasi ne tocca la foce.

In questo post voglio ricordare Salvatore Quasimodo, uno dei più grandi poeti italiani di tutti i tempi.

Egli aveva origini siciliane, infatti nacque a Modica il 20 agosto 1901. Trascorse gli anni dell'infanzia in piccoli paesi della Sicilia orientale (Gela, Cumitini, Licata, ecc.), seguendo il padre che era capostazione delle Ferrovie dello Stato. Subito dopo il catastrofico terremoto del 1908 andò a vivere a Messina, dove Gaetano Quasimodo era stato chiamato per riorganizzare la locale stazione. Prima dimora della famiglia, come per tanti altri superstiti, furono i vagoni ferroviari. Quegli anni resteranno impressi nella memoria del poeta, che li evocherà nella poesia Al Padre, inserita nella raccolta La terra impareggiabile, scritta in occasione dei 90 anni del padre e dei 50 anni dal disastroso terremoto di Messina:

« Dove sull’acque viola
era Messina, tra fili spezzati
e macerie tu vai lungo binari
e scambi col tuo berretto di gallo
isolano. Il terremoto ribolle
da due giorni, è dicembre d’uragani
e mare avvelenato. … »

Nel 1916 si iscrisse all'Istituto Tecnico Matematico-Fisico di Palermo per poi trasferirsi a Messina nel 1917 e continuare gli studi presso l'Istituto "A. M. Jaci", dove conseguì il diploma nel 1919. Durante la permanenza in questa città conobbe il giurista Salvatore Pugliatti ed il futuro sindaco di Firenze Giorgio La Pira, con i quali strinse un'amicizia destinata a durare negli anni.
Nel 1919, appena diciottenne, Quasimodo lasciò la Sicilia con cui avrebbe mantenuto un legame edipico, e si stabilì a Roma.
In questo periodo continuò a scrivere versi che pubblicava su riviste locali soprattutto di Messina, trovò il modo di studiare in Vaticano il latino e il greco presso monsignor Rampolla del Tindaro.
L'assunzione nel 1926 al Ministero dei Lavori Pubblici, con assegnazione al Genio Civile di Reggio Calabria, assicurò finalmente a Quasimodo la sopravvivenza quotidiana.
Nel periodo di Reggio Calabria nacque la nota lirica Vento a Tindari, dedicata alla storica località presso Patti:

« Tindari, mite ti so
fra larghi colli pensile sull'acque
dell'isole dolci del dio,
oggi m'assali
e ti chini in cuore. … »

Ma l'attività di geometra, per lui faticosa e del tutto estranea ai suoi interessi letterari, sembrò allontanarlo sempre più dalla poesia,
Tuttavia, il riavvicinamento alla Sicilia, i contatti ripresi con gli amici messinesi della prima giovinezza, fece sì che Quasimodo riprendesse i versi del decennio romano, per limarli e aggiungerne di nuovi.
Nasceva così in ambito messinese il primo nucleo di Acque e terre.
Nel 1936 Quasimodo pubblicò con G. Scheiwiller Erato e Apòllion ancora un libro fortunato con cui si concluse la fase ermetica della sua poesia. 
Nel 1942 pubblico Ed è subito sera.
Durante la guerra, nonostante mille difficoltà, Quasimodo continuò a lavorare alacremente: nel 1947, edita da Mondadori, uscì la sua prima raccolta del dopoguerra, Giorno dopo giorno.
Nel 1954 uscì per la casa editrice Schwarz Il falso e vero verde, seguì nel 1958 La terra impareggiabile.
Il 10 dicembre 1959, a Stoccolma, Salvatore Quasimodo ricevette il premio Nobel per la letteratura.
Nel 1966 Quasimodo pubblicò il suo ultimo libro, Dare e avere; un titolo emblematico per una raccolta che è un bilancio di vita, quasi un testamento spirituale.
Morì a Napoli il 14 giugno 1968.

Ruggero Orlando

«Qui Nuova York, vi parla Ruggero Orlando».
Tantissime volte avrete sentito questa frase, se siete troppo giovani chiedete a chi ha superato gli "Anta".
La voce era di Ruggero Orlando, giornalista e corrispondente RAI, dalle, forse poco note, origini siciliane.
Propongo una sua breve biografia:

Veronese di nascita, ma, come già detto, di origini siciliane (Caronia in provincia di Messina), fu uno dei più popolari giornalisti radiotelevisivi italiani. Laureato in Matematica, iniziò la sua carriera a Londra come corrispondente dell'Eiar e anche della Gazzetta del Popolo e del Messaggero. all'entrata in guerra dell'Italia rifiutò di rientrare in Patria e rimase in Inghilterra, dove, durante il periodo della seconda guerra mondiale, fu annunciatore dai microfoni di Radio Italia, meglio conosciuta come Radio Londra. Fu poi il primo corrispondente della Rai da New York, dove rimase dal 1954 al 1970: una tra le sue telecronache famose fu la diretta del black out avvenuto nel 1965 nella parte settentrionale degli Stati Uniti e nel Canada.

Per gli italiani fu la voce delle imprese spaziali americane, con numerose radiocronache e telecronache. In particolare viene ricordato come uno dei grandi protagonisti della storica notte in cui Neil Armstrong sbarcò sulla luna, il 20 luglio 1969. Durante la diretta dell'allunaggio Orlando, che si trovava nel Centro spaziale della NASA a Houston, in Texas, ebbe un battibecco con Tito Stagno, che conduceva la trasmissione da Roma, perché non concordava con lui sull'istante preciso dell'allunaggio. Da analisi successive delle registrazioni è emerso che Tito Stagno annunciò l'allunaggio con 56 secondi di anticipo e Ruggero Orlando con circa 10 secondi di ritardo.

Nel 1971 conseguì in Italia il premio Borselli quale miglior giornalista dell'anno. Fu anche direttore del settimanale ABC. Nel 1972 si dimise dalla Rai e fu eletto deputato per il Psi nella VI legislatura, nel collegio di Roma. Dal 1981 al 1983 diresse il mensile di politica estera e militare Italia internazionale e dal 1986 al 1992 fu opinionista nel Videogiornale della televisione privata romana GBR e direttore responsabile della emittente nazionale Rete Mia.

Stimatissimo giornalista partecipava agli eventi importanti nazionali ed internazionali. Inoltre, prese parte come attore a tre film: Il tigre (1967), Il pap'occhio (1980) e Caldo soffocante (1991). La sua preparazione scientifica gli permise di spiegare molto bene vari argomenti di Fisica, per esempio fece una serie di 3 puntate sulla Relatività Generale.

Giuseppe La Masa

In questo post voglio far conoscere la vita del patriota e politico d'origine siciliana, Giuseppe La Masa. (Trabia-1819 Roma-1881)

Repubblicano, Giuseppe La Masa dopo gli studi a Palermo fu presto esiliato nel 1844 per motivi politici. Vi ritornò nel 1847-48 per partecipare alla rivoluzione siciliana. Qui capeggiò con Rosolino Pilo l'insurrezione palermitana del 12 gennaio 1848, e fu uno dei protagonisti militari del regime liberale installato in Sicilia fino al maggio 1849.
Rioccupata l'isola dai Borbone visse in esilio a Malta, Parigi e Torino. Nel 1853 si distaccò dalle posizioni repubblicane, e nel 1859 si avvicinò ai moderati siciliani in esilio guidati da Vincenzo Fardella Recatosi in Toscana, durante il Governo Provvisorio Toscano, ne fu espulso da Bettino Ricasoli per le sue posizioni unitarie.
Partecipò così attivamente alla Spedizione dei Mille, occupandosi soprattutto del coordinamento dei volontari siciliani (chiamati picciotti), in particolare durante l'insurrezione di Palermo. Nominato generale da Garibaldi, fu al comando della brigata Sicula, sostituito a fine ottobre da Giovanni Corrao. Non seguì infatti Garibaldi sul continente. Dopo l'Unità fu inserito col grado di maggior generale nei ruoli del Regio esercito.
Fu poi deputato alla Camera nelle file della sinistra. Eletto nel 1861 deputato nel collegio di Termini nell'ottava, nona e decima legislatura, restò in parlamento fino al 1870, schierandosi all'opposizione.

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