Itinerario Arbëreshë
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Mirë se na erdhët te bota e Skënderbeut
Cari amici, quest'itinerario vi porterà alla scoperta dei cinque borghi di cultura Albanese (Arbëreshë) presenti in Sicilia.
Prima, pero, qualche informazione:
La presenza degli Italoalbanesi in Sicilia risale al XV secolo quando i turchi invasero i Balcani, provocando la diaspora albanese (shqipetara).
Da oltre cinquecento anni, gli Arbëreshë conservano con cura lingua, costumi, tradizioni e rito bizantino-greco, costituendo, di fatto, un modello di integrazione "ante litteram" di grande attualità.
Le cinque comunità albanesi di Sicilia (Contessa Entellina, Mezzojuso, Palazzo Adriano, Piana degli Albanesi, Santa Cristina Gela) sono spiritualmente e religiosamente legate all'Eparchia di Piana degli Albanesi, attualmente guidata da sua Ecc.za Giorgio Demetrio Gallaro, che si differenzia dalle altre chiese di Sicilia per il rito bizantino-greco, La sua caratterizzazione non si riferisce alla sostanza delle celebrazioni e delle sacre funzioni, ma alle loro modalità e forme.
alla seconda metà del XV secolo, quando un consistente gruppo di esuli
provenienti dalle regioni centro-meridionali dell'Albania e in secondo momento
dalla Morea, cercarono rifugio in Italia, a causa dell'imminente avanzata
turco-ottomana che minacciava la cristianità nei territori della penisola
balcanica. L'esodo ebbe inizio in seguito alla disfatta dell'Impero Bizantino e
alla morte di Giorgio Castriota Skanderbeg, che vittoriosamente combatté per la
libertà del proprio popolo per più di un ventennio.
Negli anni tra il 1482-1485 numerosi arbëreshë, dopo aver
unanimemente difeso la propria terra, trovarono rifugio nelle vicine coste
dell'Italia meridionale, lasciando con rimpianto la madrepatria. Grazie
all'appoggio della Repubblica di Venezia, che favoriva le migrazioni per
ripopolare centri disabitati o colpiti da carestie, esuli della Himara, tra cui
consanguinei di Castriota e nobili della più elevata aristocrazia albanese,
come risulta dai diplomi reali di quella epoca, riuscirono ad inoltrarsi sino a
raggiungere la Sicilia. Sbarcati sul litorale, secondo la tradizione nei pressi
di Solunto, e costretti a dirigersi verso l'interno per timore di eventuali
rappresaglie da parte dei turchi, i profughi cercarono in diverse parti della
Sicilia il luogo dove insediarsi e dopo alcuni tentativi, durati diversi anni,
si fermarono negli ampi territori amministrati dalla Mensa Arcivescovile di
Monreale. Negli anni 1486-1487 fu chiesto al cardinale Juan Borgia il diritto
di soggiorno sulle terre di Mercu e Aydingli, situate nell'entroterra montuoso
presso la pianura della Fusha. L'ambiente si presentava non lontano dai
principali poli cittadini, ma alquanto riparato, fertile e ricco d'acqua.
Stipulati i Capitoli di fondazione, la concessione ufficiale fu sancita per il
30 agosto dell'anno 1488, cui seguì la costruzione del più grosso centro
albanese dell'isola. Sorse da principio alle falde dell'erto monte Pizzuta, ma
i suoi fondatori, costretti dall'eccessiva rigidità del clima, si spostarono
appena più a valle in prossimità della pianura sottostante. Il centro abitato
si è quindi sviluppato su più quartieri, (alcuni fra i primi Qaca e vjetër,
Shën Gjergji, Sheshi), ognuno dei quali suddivisi in aree che generalmente
prendono il nome dalle chiese in primis edificate, dai toponimi albanesi o
dalle famiglie di Piana degli Albanesi, seguendo la morfologia montuosa del
territorio. L'omogeneità sociale, culturale ed etnica degli albanesi si
manifestò immediatamente con la rapida costruzione delle chiese di rito
greco-bizantino e delle prime infrastrutture.
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Molteplici sono i luoghi meritevoli d'interesse,
cominciando dalla parte bassa del paese, primo di essi è il museo civico "Nicola Barbato" che comprende sezioni dedicate ai costumi e agli ori arbëreshë, alle raccolte librarie degli Arbëreshë di Sicilia e alla mostra fotografica sulla strage di Portella della Ginestra.
Altro luogo da visitare e la Chiesa San Nicola di Mira
che fu eretta, nel XVI secolo, sul luogo dove già esisteva un'antica chiesetta dedicata allo stesso santo. La chiesa ha particolare rilievo artistico per le pregevoli icone del Seicento e del Settecento dell'iconostasi. La chiesa è ad una sola navata; le pareti sono arricchite da icone di scuola cretese e siculo-albanese del Settecento, che si differenziano dalle altre per l'uso di una tempera grassa e per il fondo in argento a mecca. Annesso alla chiesa vi è il Seminario greco-albanese e la sede dell'Eparchia di Piana degli Albanesi.
Di grande rilievo è la Cattedrale di San Demetrio Megalomartire (XV secolo): maestosa Cattedrale situata nel Corso Giorgio Kastrota. Vi si accede mediante una scalinata di stile tardo-barocco; la facciata è abbellita da mosaici. L'interno, a tre navate separate da due file di otto colonne di marmo ed archi a tutto sesto, contiene un'imponente iconostasi lignea, la più grande di Sicilia, con icone del monaco cretese Manusaki, che ricopre le tre absidi. Arricchiscono le pareti laterali della cattedrale affreschi dell'iconografo greco Eleuterio Hatsaras e trittici di icone che raffigurano la vita della Vergine, le feste principali e i padri della Chiesa ortodossa, quella centrale da affreschi del Katzaras raffiguranti feste Despotiche. Tra il 1641 ed il 1644, il monrealese Pietro Novelli eseguì gli affreschi delle absidi. L'opera più antica e di maggior rilievo artistico è l'icona della Madre di Dio con il Cristo di scuola senese del 1500, dipinta con tempera all'uovo. Sulla parete destra dell'entrata principale si trova una pala raffigurante San Demetrio e San Nestore, e il sepolcro del Servo di Dio P. Giorgio Guzzetta, illustre personalità arbëreshë vissuta intorno al XVIII secolo, che difese il rito orientale. Dal 1784 la chiesa fu sede del vescovo ordinante di rito greco-bizantino in Sicilia. Fino al 1924, in Piana degli Albanesi, la chiesa di San Demetrio era la sola parrocchia con un Collegio di quattro papàdes.
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Ultima chiesa che voglio segnalare è la Chiesa San Vito (XVI secolo): comunemente detta Sëndu Viti, esempio dell'arte tardo-barocca del paese, ricca di fregi, di altari intarsiati in marmi policromi. La chiesa, appartenente inizialmente ai fedeli di rito bizantino, fu ceduta da questi ai latini. Possiede una grande scalinata barocca risalta il portale settecentesco, composto dalle statue marmoree di S. Pietro e S. Paolo, da due putti e un medaglione. Nella chiesa a tre navate con l'abside e l'unica cappella laterale, poiché l'altra è stata adibita a sacrestia, si conservano importanti opere d'arte: la statua dell'Immacolata e la statua di S. Vito Martire.
La cittadina è arricchita dalla presenza di
un magnifico lago-diga.
Il paese sorge su una collina, posta a 651 metri d’altitudine,
che dista da Palermo circa 22 km. Santa Cristina Gela è la comunità albanese di
Sicilia più piccola fondata da alcuni abitanti di Piana che il 31 ottobre 1691 chiesero all’Arcivescovado di Palermo di potersi
stabilire con le famiglie in quei territori. Questo nucleo divenne sempre più
numeroso fino a costituirsi in comune autonomo.
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Attività economiche prevalenti sono: agricoltura e pastorizia.
Fra i prodotti tipici si possono annoverare: pane, ricotta, formaggi, olio e
carni.
Di notevole interesse è la Chiesa Parrocchiale intitolata a Santa Cristina: l'interno, a navata unica, è arricchito da numerose statue e fregi. In uno degli altari laterali è possibile venerare un reliquiario della Santa.
Alzando lo sguardo si viene attratti dal Cristo benedicente sul trono, con San Giuseppe alla sua sinistra è Santa Cristina alla destra.
Di notevole interesse è la Chiesa Parrocchiale intitolata a Santa Cristina: l'interno, a navata unica, è arricchito da numerose statue e fregi. In uno degli altari laterali è possibile venerare un reliquiario della Santa.
Alzando lo sguardo si viene attratti dal Cristo benedicente sul trono, con San Giuseppe alla sua sinistra è Santa Cristina alla destra.
Altra perla di cultura Arbëreshë è il piccolo borgo di Palazzo Adriano. Nella foto avrete sicuramente riconosciuto la piazza del film premio Oscar "Nuovo Cinema Paradiso", infatti, il borgo è stato scelto come set del capolavoro di Giuseppe Tornatore.
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I primi dati sull'esistenza del casale Arianum si hanno fin
dal 1060 sotto il regno del conte Ruggero, quando Gerlando (primo
vescovo di Agrigento dopo la cacciata dei saraceni) fondò le prime 14 prebende
canonicali della mensa arcivescovile di Agrigento, con le decime dovute da
alcuni borghi e luoghi abitati delle diocesi, tra cui sono riportati Prizzi e
il suddetto casale Arianum. Più certi sono i dati sul casale di Palazzo Adriano
riportati in un documento del 1160 (in cui venne scritto sicut dividitur aqua
inter Adrianum et Peritium) e, in seguito, in altri documenti del 1243
(Federico II conferma la donazione di Matteo Bonello delle terre ai monasteri e
concede al monastero di Santa Maria di Fossanova la Villa di Adriano, fino ad
allora di pertinenza del demanio della Corte Imperiale, compresa la
giurisdizione sugli abitanti), del 1273 (atto di divisione tra i monasteri di
Sant'Angelo e San Cristoforo dove per la prima volta si ritrova il nome
Palacium Adriani e di altri documenti che risalgono all'epoca dei Vespri
Siciliani.
A partire dal 1282 i feudi che oggi costituiscono il
territorio di Palazzo Adriano videro susseguirsi più di trenta baronie concesse
in enfiteusi tutte dagli abati del monastero di Santa Maria di Fossanova.
Quest'ultimo ebbe riconosciuto il diritto di amministrazione dei feudi per più
di 500 anni fino al 1787, quando la Real Corte di Ferdinando IV di Napoli
incamerò tutte le terre, affidandone l'amministrazione alla Reale Commenda
della Magione di Palermo. Alcuni enfiteuti sono stati Nicolò de Apilia
(Abella), Margherita Ventimiglia, i Villaraut, gli Opezzinghis, i Notarbartolo
ed altri.
La pagina importante nella storia di Palazzo Adriano è stata
scritta a partire dal XV secolo, quando un gruppo di militari albanesi, gli
arbëreshë, si insediò nella zona disabitata. Con la caduta delle ultime
resistenze albanesi capeggiate da Giorgio Castriota Scanderbeg, numerosi
albanesi dovettero abbandonare l'Albania per fuggire all'avanzata devastante
turca, raggiungendo la Sicilia e insediandosi nel piccolo casale costruito dai
militati albanesi. Con le altre andate migratorie provenienti anche dalla Morea
albanese, il casale crebbe di popolazione e di sviluppo.
Attraverso i secoli gli arbëreshë mantennero intatta la loro
cultura e continuarono a parlare la lingua madre albanese, fin quando, dal XIX
secolo, non entrarono nel paese famiglie provenienti dai territori vicini. Da
allora l'equilibrio secolare si ruppe, dando inizio ad un impoverimento della
lingua locale e vita ad una comunità in cui oggi coesistono famiglie di rito
latino e di rito bizantino. Palazzo Adriano, difatti, aveva a lungo conservato
cinque autonomie: amministrativa, giudiziaria, economica, religiosa e militare,
di origine balcanica, permesse e riconosciute dalla legislazione del regno
meridionale.
Di particolare rilievo è la Chiesa di rito greco-bizantino dedicata a Maria Santissima Assunta. L'interno presenta tre navate decorate con stucchi dorati e
dieci grandi tele risalenti alla metà del XIX secolo e dipinte da artisti
dell'epoca. Il prospetto principale, a pilastri e nicchie, è in pietra
lavorata; presenta un notevole sopraportale ed una breve scalinata in pietra. I
gradini laterali sono in conci di tufo: il fatto è dovuto, secondo una
tradizione popolare, all'usanza del re Ferdinando IV di Borbone di arrivare a
cavallo fino all'ingresso della chiesa ogni qualvolta si recava a Palazzo
Adriano. La chiesa è dotata di sagrestia e di un campanile, ricostruito alla
fine della seconda metà del XIX secolo. Alcune cappelle sono state
probabilmente adornate con il contributo dei notabili del luogo, come i baroni
Di Maggio per la navata destra o i baroni Mancuso (di cui fu esponente il
barone Pietro Mancuso, sindaco nel XIX secolo) per la cappella a destra del presbiterio
che porta un cancello con il loro cognome. Notevoli i quadri del pittore
palermitano Giuseppe Patania sulle pareti della navata.
Non si può non citare la Chiesa di Maria Santissima del Lume. Fatta costruire dal barone Schirò negli anni quaranta del Settecento (ritratto nel monumento funebre in controfacciata), occupa l'area in cui anticamente sorgeva la chiesa di San Sebastiano. Il prospetto principale presenta tre nicchie contenenti le statue di san Pietro, san Paolo e san Michele Arcangelo. All'interno l'edificio è suddiviso in tre navate, con dodici colonne a due blocchi e gli altari adornati da tele e alcuni affreschi attribuiti allo Zoppo di Gangi. Le facciate laterali sono in pietra viva, mentre la volta e l'abside sono decorate da alcuni affreschi. La chiesa è dotata di sagrestia e campanile: quest'ultimo dispone di un orologio meccanico, costruito nel XX secolo. Ha subito un radicale restauro in facciata ad opera della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Palermo alla fine del XX secolo, con intonacatura del prospetto ed eliminazione di alcune supposte superfetazioni più recenti.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1Dt71CzXbgACpcrOxbwVxAyZdDvtNiXHvcqrET6l5y1p4BOUtFYgCZkqx177BIJn7xKGgeVkllZL8dxlXd2VSOxD3bQnXe0MQGfPny7aTB_iNSByEkegTTQtvYZpvCUbdltlRj1jXxHQ/s320/14212175_1432404610110236_8464214480563431862_n.jpg)
Non si può non citare la Chiesa di Maria Santissima del Lume. Fatta costruire dal barone Schirò negli anni quaranta del Settecento (ritratto nel monumento funebre in controfacciata), occupa l'area in cui anticamente sorgeva la chiesa di San Sebastiano. Il prospetto principale presenta tre nicchie contenenti le statue di san Pietro, san Paolo e san Michele Arcangelo. All'interno l'edificio è suddiviso in tre navate, con dodici colonne a due blocchi e gli altari adornati da tele e alcuni affreschi attribuiti allo Zoppo di Gangi. Le facciate laterali sono in pietra viva, mentre la volta e l'abside sono decorate da alcuni affreschi. La chiesa è dotata di sagrestia e campanile: quest'ultimo dispone di un orologio meccanico, costruito nel XX secolo. Ha subito un radicale restauro in facciata ad opera della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Palermo alla fine del XX secolo, con intonacatura del prospetto ed eliminazione di alcune supposte superfetazioni più recenti.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh-RpN-4vIo8GuYGtJ13Ug5YsO7AuPCPoj3ASl_mVdF_fP667i99QUqnz-bbBqFHldYnM4FuL7Y95BjGh6sZTsumGt45r3tErE70hcO5HIxmKvz_lIrwIWUW_-A7Js510lNG0ziXDaj_lg/s1600/Mezzojuso-Stemma.png)
Altro borgo appartenente alla comunità Arbëreshë di Sicilia è Mezzojuso:
Mezzojuso fu costruito dagli Arabi, in seguito gli Albanesi Arbëreshë,
principalmente militari né hanno incrementato la consistenza, durante la
migrazione degli albanesi in Italia. Essi provenivano dall'Albania e avevano
portato con sé lingua, usi e il rito ortodosso. Nel 1501 stabilizzarono la loro
posizione nella zona, di certo non in floride condizioni e sono essi a farlo
risorgere a nuova vita. Presto seguiti dalle loro famiglie, profughi albanesi
in lotta contro il turco musulmano che aveva conquistato l'Albania e i
territori dei Balcani, diedero vita al nuovo nucleo abitativo. La zona era
stata abitata in passato, si presume, anche dai saraceni in lotta con i
cristiani per la conquista della Sicilia, Manzil Yūsuf-Residenza di Yūsuf era
il probabile nome del piccolo casato secondo alcuni studiosi.
Il feudo, essendo accanto ad un nodo stradale in cui non
manca la vegetazione e l'acqua, in passato aveva conosciuto la presenza umana,
prima di cadere nell'abbandono. Sorge infatti in un luogo di sosta, da cui
prende nome il feudo in cui sorge. Ruggero II il Normanno, scacciati i
Saraceni, lo dona, intorno al 1132, a dei monaci. Si ha notizia del monastero
sino alla guerra del Vespro, per poi andare in totale abbandono e spopolamento.
Il nome del villaggio, Manzil Yūsuf (Residenza di Yūsuf), dopo molte variazioni
grafiche e fonetiche, diventa l'odierno Mezzojuso.
Il nobile pisano Giovanni Corvini ottiene in enfiteusi, nel
1527, il feudo di Mezzojuso, che divenuto baronia, passa, nel 1587, allo
spagnolo don Blasco Isfar Corlglies. Don Giuseppe Groppo Scotto, nel 1619,
viene fatto Marchese di Mezzojuso, e, infine, nel 1639, don Blasco Corvino
Sabea viene elevato alla dignità di Principe di Mezzojuso, la cui feudalità si
estingue con la morte, nel 1832, di don Francesco Paolo Corvino Filingeri.
Nella piazza principale del paese sorgono le due matrici: la
Chiesa di San Nicolò di Mira, di rito bizantino, fondata nel 1516 dagli esuli
albanesi, e la Chiesa dell'Annunziata, oggi di rito latino, ma inizialmente di
rito bizantino, costruita anch'essa dagli esuli albanesi nel 1572 ed in seguito
rimaneggiata.
Particolare è la decorazione neogotica della facciata
principale e del campanile della Chiesa di San Nicolò di Mira, progettati
dall'architetto Francesco Paolo Palazzotto nel 1915, ma solo parzialmente messi
in opera dall'architetto Tommaso Zangari per la morte del progettista. Nel
1934-1935 l'architetto Pietro Scibilia diresse i lavori di completamento sulla
base del vecchio progetto. All'interno si trova, all'altare maggiore, un
pregevole crocifisso d'avorio bizantino del XVIII secolo, icone e l'iconostasi
bizantina. La lunetta sovrastante la porta principale è stata recentemente
arricchita da un mosaico bizantino rappresentante San Nicola in trono.
All'estremità del paese sorge il Monastero basiliano, eretto
nel 1609, importante centro religioso e culturale degli albanesi in Sicilia,
dove operarono monaci iconografi. Nel monastero vi è la Chiesa di Santa Maria
delle Grazie, eretta nel 1501 e alterata nel '700 su progetto di Nilo Gizza,
padre basiliano. La chiesa è ricca di icone in stile tardo-bizantino, le cui
due tavole maggiori raffigurano il "Redentore Cristo Re dei Re e Sommo
Sacerdote" e la "Vergine". Sulle pareti della navata vi sono sei
medaglioni con affreschi di santi e vescovi: Partenio, Gregorio il Teologo,
Spiridione, Epifanio, Cirillo, Nicola e Atanasio. Nella chiesa si conserva il
sarcofago dell'albanese Andrea Reres, fondatore del Monastero, affinché vi
abitassero monaci e chierici professanti il rito orientale e fosse assicurato
al suo popolo esule il tramandarsi e la conservazione immacolata delle usanze
ortodosse.
Ultima tappa del nostro itinerario è Contessa Entellina:
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A partire dal XVI secolo si riscontrano documenti notarili o
ecclesiastici che riguardano la nuova comunità stabilitisi nella zona
dell'antico casale. Il 14 dicembre del 1517 fu redatto l'atto di affitto del
territorio, firmato da una rappresentanza della comunità albanese di Contessa,
e nel 1520, prima che scadesse il contratto di affitto di nove anni, gli
arbëreshë di Contessa sottoscrissero con Don Alfonso Cardona un atto di
concessione conclusivo. Con questo atto i feudi di Contessa e Serradamo furono
assegnati agli Arbëreshë, che li trasformarono in vigneti, uliveti e frutteti e
li coltivarono a grano. La decima fu successivamente trasformata con la
concessione in enfiteusi, con l'intento di incentivare gli investimenti fissi
da parte dei contadini arbëreshë. Su tutti i feudi avevano diritti di pascolo e
spigolatura (usi civici); e si sviluppò la coltura intensiva con alberi e
vigneti, in quanto su essi gli arbëreshë godevano del diritto di disporre
liberamente l'eredità mediante testamento. Altri esuli albanesi intanto nel
1521, durante la grande migrazione albanese nel mondo causata dall'avanzata dei
turco-ottomani, raggiunsero Contessa. Molte sono le notizie su Contessa
riportate dal XVI secolo ad oggi in tanti documenti amministrativi,
ecclesiastici, notarili, ecc., che riguardano la nuova comunità degli albanesi
stabilitisi nel casale, chiamato nel medioevo “vinea Comitissae”.
Venivano scambiati abitualmente per "greci", in
quanto si dava maggior rilevanza al carattere religioso (rito greco) piuttosto
che all'appantenenza etnica (albanese). Tuttora, talvolta, i paesi limitrofi
usano chiamare "greci" gli abitanti.
Nel 1875 si volle aggiungere al nome Contessa l'aggettivo
Entellina, derivato da Entella città le cui rovine si trovano nei pressi del
centro abitato, costituendo così la denominazione attuale. È chiamata in lingua
arbëresh Kundisa o Kuntisa, e horë/a.
Fra gli edifici monumentali si annoverano le chiese di rito
bizantino di modello architettonico orientale: con icone, l'iconostasi, mosaici
e paramenti sacri ortodossi. Una particolare chiesa è quella di SS. Annunziata
e San Nicolò di Mira (Klisha e Shën Kollit), quest'ultimo santo patrono del
comune. Chiesa Madre di Contessa Entellina, fu costruita e completata nel 1520
dai primi esuli arbëreshë subito dopo il loro arrivo, e nella quale viene celebrata
la Divina liturgia secondo il rito bizantino-greco. Insieme ad essa il rito
bizantino viene solennizzato in tutte le altre chiese di Contessa: Anime Sante
(Shpirtrat e Shejt), Maria dell'Itria o Odigitria (Mëria e Dhitrjes), San Rocco
(Shën Rroku), S. Antonio Abate (Shën Gjoni i Math). La Chiesa di Santa Maria
delle Grazie (Klisha e Shën Mërisë) e l'Abbazia di Santa Maria del Bosco sono
invece passate al rito latino, in quanto cedute provvisoriamente ai fedeli
latini, ma con la riserva dei diritti dei fedeli albanesi-bizantini: proprietà,
canto del "Cristòs Anésti" (Krishti u Ngjall) nei primi tre giorni
dopo la Grande Pasqua, canto della "Paràclisis" nella prima
quindicina di agosto; vespro, messa solenne e processione in occasione della
festa annuale, l'otto settembre, di Santa Maria della Favara.
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