I Ventimiglia

Cari amici, oggi vi parlerò di una nobile casata, grande protagonista della Storia siciliana, e artefice, attraverso Giuseppe Emanuele III, della nascita di Belmonte Mezzagno.
Sto parlando, come avrete capito, della famiglia Ventimiglia.


I Ventimiglia costituiscono una linea di discendenza siciliana di un lignaggio ligure, di probabile origine franca, reale e imperiale, molto potente e influente nella storia culturale, politica ed economica dell'isola - e non solo - dal XIII secolo al XIX secolo. Per lunghi tratti della seconda metà del Trecento ressero un'ampia signoria indipendente, riconosciuta, tra gli altri, dallo Stato della Chiesa, nel periodo dei cosiddetti Quattro Vicari del Regno di Sicilia.
Fra i rappresentanti più importanti e in vista della nobiltà in Sicilia, i Ventimiglia presero il nome dalla città ligure di Ventimiglia della quale però non erano i conti, ma detenevano soltanto piccole quote signorili in condominio con i cugini del ramo principale, cioè i Lascaris, detentori della contea di Ventimiglia in qualità di ramo primogenitale.
Il lignaggio trasferitosi in Sicilia, al contrario, proveniva dal comitato episcopale di Albenga, in cui deteneva la contea del Maro e il feudo delle decime episcopali. Da qui, la denominazione di questa branca Ventimiglia del Maro. Dopo la metà del XIII secolo i Ventimiglia del Maro - da cui originarono i 'Ventimiglia' tout-court, unico ramo della famiglia comitale a trasformare il predicato 'di' Ventimiglia in questo cognome, intorno al XVI secolo - cedettero ogni residuo diritto sulla contea di Ventimiglia, signoria che rimase totalmente in possesso dei Lascaris di Ventimiglia (ramo primogenito dei Ventimiglia)

I Ventimiglia del Maro in Sicilia dettero vita a due lignaggi principali: quello dei conti-marchesi di Geraci (principi di Castelbuono dal 1595, poi principi del Sacro Romano Impero, di Belmonte, Grammonte, Scaletta, Belmontino, Valdina, Villadorata, Ventimiglia di Sicilia, Sant'Anna e Buonriposo) e quello dei del Bosco Ventimiglia, conti di Alcamo e Vicari, duchi di Misilmeri, baroni di Prizzi e Siculiana, cavalieri del Toson d'Oro, nonché principi di Cattolica dal 1620 (poi principi di Belvedere). Laura del Bosco Ventimiglia, fu principessa del Sacro Romano Impero, marchesa di Castiglione delle Stiviere e Medole, come moglie di Luigi I Gonzaga, reggendo brevemente lo stato nel 1636, alla morte del marito.

I due rami di Geraci e del Bosco derivarono, rispettivamente, dai fratelli Filippo I e Otto IV conti di Ventimiglia e del Maro, vissuti nel XIII secolo. I del Maro si imparentarono con i conti di Ischia e di Geraci discendenti dagli Altavilla, casa regnante dei Normanni. Si stabilirono in Sicilia a partire, almeno, dal 1258, quando Enrico II Ventimiglia - figlio di Filippo I del Maro - sposò Isabella, la contessa di Geraci e Ischia, trasferendo la propria corte dalla Liguria alla Sicilia. Qui Enrico ebbe in feudo diversi territori e vasti possedimenti allodiali in Cefalù, dove edificò uno splendido e monumentale palazzo signorile - detto l'Osterio Magno - assumendo il titolo di conte di Ischia.

Otto V Ventimiglia, detto "de Bosco", figlio di Raimondo e nipote di Otto IV, si accasò con Giovanna Abbate, erede del padre Gilberto Abbate - castellano di Malta per l'imperatore Federico II di Svevia intorno al 1241, nonché barone di Ciminna - esponente del più potente clan nobiliare trapanese, divenendo così il cognato di Palmiero Abbate, protagonista dei Vespri Siciliani.

Il ramo principale della casata discese dai Lascaris dell'Impero bizantino - per il matrimonio di Guglielmo Pietro I di Ventimiglia con Eudossia Lascaris - e assunse la denominazione Lascaris di Ventimiglia


Il ramo della famiglia Ventimiglia futuri Principi di Belmonte, deriva da quello dei marchesi di Geraci che, infatti, verranno investiti alla fine del XVII secolo del feudo di Belmonte Mezzagno. Questo lignaggio deriva da Enrico II Ventimiglia (n. 1230 - m. 1307), egli fu conte di Ventimiglia, del Maro, di Geraci e di Ischia Maggiore, signore di Gangi e delle Petralie, signore di Gratteri e Isnello, Caronia, Belici, Fisauli, Ypsigro, Montemaggiore, capitano e vicario generale di re Manfredi di Svevia. Espropriato da Carlo I d'Angiò dei feudi, sia in Sicilia sia in Liguria, Enrico ne ottenne la restituzione attraverso l'alleanza con la Repubblica di Genova e con Federico III di Aragona. Fu ambasciatore degli Aragonesi di Sicilia a Genova nel 1300. Da Enrico e dalla prima moglie Isabella nascono 5 figli, noi seguiremo la discendenza di Aldoino (m. 1289).
Aldoino Ventimiglia sposa Giacoma Filangeri, che dà alla luce Francesco I Ventimiglia e Filangeri (m. 1338). Egli Fu inviato - nel 1318 - come ambasciatore da Federico III d'Aragona presso il papa Giovanni XXII ad Avignone e da Giacomo II d'Aragona in Barcellona. Vittima di una congiura, venne privato dei feudi. Sposò prima Costanza Chiaromonte e quindi, ripudiatala (1322), Margherita de Asculo/Consolo, parente degli Antiochia e dei Della Scala signori di Verona. Da Margerita nacque:
Emanuele Ventimiglia (m. 1362). Egli ottenne il reintegro dei beni di Francesco; servì re Pietro IV di Aragona nell'impresa di Rossiglione e di Sardegna. Da lui:
Francesco II Ventimiglia (m. 1387). Nel 1377 venne nominato vicario generale del regno di Sicilia. Sposò Elisabetta di Lauria (1350). Alla morte del padre nel 1338, Francesco fu prigioniero del milite Ruggero Passaneto insieme ad alcuni dei fratelli, mentre il primogenito Emanuele si era rifugiato alla corte di Pietro IV di Aragona. Nel 1350 il conte Francesco guidò i fratelli in un tentativo di rivolta contro i Chiaromonte, padroni di Palermo, ma il golpe fallì e i Ventimiglia si dovettero mettere in salvo attraverso i sotterranei della città. Nel 1353, mutato il quadro politico siciliano, Francesco venne reintegrato formalmente nella carica di camerario del regno, già appannaggio del padre, e nell'anno successivo nella contea di Collesano, che gli era stata donata dal padre e che probabilmente di fatto era stata già rioccupata negli anni precedenti. Francesco II fu inoltre nominato capitano e giustiziere a vita di Palermo, castellano della reggia normanna e del Castello a Mare della medesima capitale, cioè in sostanza signore perpetuo della città, nonché capitano di Trapani e Salemi, già il 16 febbraio 1361. Ebbe parecchi figli, tra i quali: Francesco III erede del Marchesato di Geraci, e Antonino che ottiene la Contea di Collesano; sarà il suo lignaggio ad ottenere il feudo di Belmonte.
Antonio Ventimiglia (m. 1415), come detto, nel testamento del padre fu istituito conte di Collesano e barone di Gratteri, signore della cittadina e porto di Termini, e dei castelli e borghi di Roccella, delle Petralie, di Isnello, Bilici e Caronia. Defunto il padre nel 1387, Antonio vi succedette nell'alto ufficio di Gran Camerario del Regno di Sicilia, massima autorità economico-patrimoniale dello Stato. Alleato con il fratello Cicco/Francesco - ex-prelato, già Protonotario apostolico di papa Urbano VI nel 1383 - il Conte di Collesano si pone come principale referente dei nuovi sovrani aragonesi, il reggente Martino il Vecchio, Duca di Montblanc e il figlio di questi, Martino I il Giovane, re consorte di Sicilia dal 1392. Nondimeno, Antonio contrasta l'autorità del fratello primogenito, Enrico III Conte di Geraci, e ottiene il titolo di Vicario Generale del Regno di Sicilia. Le trattative imbastite con l'infante Martino - prima che questi prendesse possesso del trono, contrastato dagli altri potenti vicari - valsero ad Antonio la conferma della signoria sulla città di Termini, importante emporio commerciale tirrenico, e il riconoscimento della piena giurisdizione civile e criminale sulle sue terre. Per Antonio l'enorme potere acquisito a corte valse la partecipazione allo smembramento degli altri grandi stati feudali, ribellatisi al nuovo sovrano e di conseguenza demoliti militarmente dai Martini. Son così redistribuiti ai fedeli degli Aragonesi i beni dei Chiaramonte, conti di Modica e Caccamo, nel 1393, e quelli di Guglielmo Raimondo Moncada - Marchese di Malta e Conte di Augusta - nel 1396-1398. Si ha così un profondo mutamento del sistema economico feudale, dove prevalgono oramai le concessioni reali dei diritti d'esportazione dei grani che aprono l'ascesa a una nuova stratificazione sociale di fedeli funzionari, a scapito dei grandi baroni terrieri del passato. Fra questi funzionari-mercanti si pone inizialmente lo stesso conte Antonio.
Il re Martino l'8 giugno 1392 confermò l'investitura al conte Antonio, aggiungendo il diritto di esportazione di 11.000 tratte annue di frumento dai porti-caricatori di Roccella, Trapani, Marsala e Termini (circa 5.000 tonnellate). Il 16 giugno 1392 il Ventimiglia permutò con il re la terra e castello di Termini con i proventi della regia colletta imposta sullo stato di Collesano, sulle baronie di Petralia, Isnello, San Mauro per un valore di 3.200 fiorini d'oro annui. Negli anni successivi al 1394, il Conte di Collesano detiene pur la Baronia di Caltavuturo(investitura del 12 dicembre 1396), e il titolo di Capitano delle città di Cefalù e Polizzi, con uno stipendio di 300 once annue. Nel successivo 26 ottobre ad Antonio Ventimiglia fu assegnato il feudo di Tavi. Fra il 31 ottobre e il 1º novembre 1396 Antonio Ventimiglia subinfeudò al consanguineo Francesco Uberto Ventimiglia il castello e il feudo di Resuttano (Ralsuctana/Rasuctana), nonché i feudi Monaco, Rachilebbi e Raxafica, tutti nel territorio di Petralia Soprana. Investitura confermata dal re il 19 novembre 1396. Detti territori passeranno infine in casa Romano Colonna e Ventimiglia. Sempre nel 1396, il Conte di Collesano rientra in possesso della Baronia di Castel di Lucio e assume la carica di Grande Ammiraglio del Regno di Sicilia, succedendo al Moncada caduto in disgrazia. Antonio Ventimiglia si ribellò a re Martino e, per qualche tempo, ebbe confiscati i feudi: il 1º febbraio 1398 Isnello fu assegnata ad Abbo Filangeri, e il 20 giugno 1398 la terra e il castello di Caltavuturo passarono in potere del catalano Aloisio de Raiadellis. Il 16 agosto 1398 Antonio ottenne il perdono reale e la restituzione del patrimonio. Fra gli altri beni feudali, Antonio possedette il feudo Casale di Pietra (ubicato nel territorio di Petralia superiore), che vendette a Filippo Notarbartolo il 15 ottobre 1398, e il feudo Bonanotte (ubicato nel territorio di San Marco) che il 6 maggio 1407 vendette ad Antonio de Bono da Nicosia. Antonio Ventimiglia fu nominato dal papa Vicario Generale del Regno di Sicilia mantenendo e gestendo il pieno potere sovrano su un quarto circa dell'isola. Ancora ribelle, fu sconfitto e imprigionato a Malta. Antonio Ventimiglia sposò successivamente Margherita di Saluzzo Peralta ed Elvira Moncada. Da lui:
Francesco III Ventimiglia (m. 1429), fu barone di Gratteri, ma fu diseredato dal padre. Fu il capostipite dei Ventimiglia Conti di Prades e Baroni di Gratteri. Da lui:
Giovanni Ventimiglia e Prades, (m. 1485) figlio di Francesco III, barone di Gratteri, sposa Margherita Rosso. Da lui:
Francesco IV Ventimiglia e Rosso (1485-1492), barone di Gratteri, Capitano di Cefalù e regio consigliere, sposa Antonia del Balzo. Da lui:
Pietro I Ventimiglia e del Balzo (1492-1552), barone di Gratteri, sposa. Vincenza dal Porto, e alla sua morte Maria Beccadelli da Bologna. Da lui:
Carlo I Ventimiglia e dal Porto (1552-1575), Barone di Gratteri (investito per donazione il 12 giugno 1551, è Pretore di Palermo nel 1545, sposa Maria de Ruiz, discendente da nobile casato di ricchi mercanti catalani - ebrei conversi - erede della baronia di Santo Stefano di Bivona. Da lui:
Vincenzo Ventimiglia e Ruiz, dei Baroni di Gratteri e Santo Stefano. Da lui:
Pietro II Ventimiglia e Ruiz, barone di Gratteri (m. 1628). Barone di Santo Stefano (investito 16 settembre 1599), sposa. Maria Grifeo, e alla sua morte Giulia Alliata di Gerardo, barone di Roccella. Pietro fu Pretore di Palermo, Governatore della Compagnia della Carità di Palermo e cavaliere dell'Ordine di Malta. Da lui:
Lorenzo Ventimiglia e Alliata, Conte di Prades (investito il 19 maggio 1661). Barone di Gratteri, Barone di Santo Stefano Succede come terzogenito al fratello Alfonso. Lorenzo fu Deputato del Regno nel 1640, Ministro della Compagnia della Carità nel 1657. Lorenzo ottenne riconoscimento dell'avito titolo di Conte di Collesano dal viceré Rodrigo de Mendoza, duca dell'Infantado, con le vibrate proteste del titolare Luigi Guglielmo Moncada, che portarono - il 22 giugno 1654 - all'emanazione di lettere regie che diffidavano il barone di Gratteri dal servirsi del titolo di conte di Collesano. Da lui:
Don Francesco Ventimiglia (m. 1676). Egli sposando Donna Ninfa Afflitto, titolare del feudo, diventa Principe di Belmonte, oltre a questo era Conte di Collesano (titolo di pretensione non riconosciuto), Barone di Gratteri e di Santo Stefano di Bivona. Da lui:
Don Vincenzo II (m. 1725), Principe di Belmonte, Conte di Collesano, Barone di Gratteri e Barone di S. Stefano di Bivona dal 1724. Il principe Vincenzo sposa Donna Anna Maria Statella e Mastrilli. Da lui:
 Giuseppe Emanuele III Ventimiglia(1716-1777), Principe di Belmonte (investito il 15 luglio 1725), Conte di Collesano, di S. Eufemia, Conte di Parma (1738), Barone di Gratteri, Lascari e di S.Stefano di Bivona (1725), signore degli stati e terre delle Rosselle, del Mezzagno, S. Biagio, Suro, Purace, Carbone, Chianetti, Pinato, Bappadi, Magagirafì, Amizzo, Contuberno, Finocchiara, Misita, Noro, Castagna, Donna, Margiamuto, Norazzio, Prato, Fontanelli, Bosco, Canneti, S. Pietro, marine del Pileto e della Bomana eccIl Belmonte sposa Donna Isabella Alliata e Di Giovanni, figlia di Don Domenico. Principe di Villafranca e di Donna Vittoria Di Giovanni e Pagano dei Duchi di Saponara, Principi di Ucria e Montereale.

Le sorti di Belmonte si legano indissolubilmente a quelle dei Ventimiglia quando Giuseppe Emanuele, nel 1752 chiede ed ottiene da Carlo III di Borbone la "Licentia Populandi" , ovvero il permesso di popolare il feudo di Belmonte. Era nata Belmonte Mezzagno.

Da Giuseppe Emanuele nasce Don Vincenzo III (m.1775), Cavaliere di Giustizia del S.M.O. di Malta. Sposa Donna Anna Maria Cottone dei Principi di Villahermosa, Dama di Corte della Regina Maria Carolina di Napoli. Da lui:
Don Giuseppe Emanuele IV (n.1756-m.Parigi 1814), Principe di Belmonte (investito il 2 giugno 1778), Conte di Collesano, Barone di Gratteri e di Santo Stefano di Bivona (1778), Deputato del Regno di Sicilia nel 1806, Gentiluomo di camera del Re Ferdinando IV di Napoli, Cavaliere dell'Ordine di San Gennaro, lottò per ottenere la Costituzione Siciliana del 1812, fu Ministro degli Esteri del Regno di Sicilia dal 1812 al 1814. Da lui:
Don Gaetano II (m.1831), Principe di Belmonte, Conte di Collesano e di S.Stefano di Bivona, barone di Gratteri dal 1815. Maggiordomo di settimana di re Ferdinando I nel 1772. Il principe fonda a Palermo, con legato testamentario, il Sacro Ospizio Ventimiliano, per l'assistenza e istruzione dei fanciulli poveri, dai 6 ai 18 anni, con sede in Ruga Grande del Carmine (oggi via del Bosco) nel palazzo Benenati, affrescato da Vito D'Anna, Benedetto Cotardi e da Gioacchino Martorana. Alla fine del sec. XVIII il palazzo perse la funzione residenziale, passato infatti ai Belmonte divenne sede della fondazione filantropica, tuttora esistente come IPAB “Principe di Palagonia e conte Ventimiglia”. Gaetano sposa Donna Girolama Montaperto dei Principi di Raffadali. Da loro nasce:
Marianna Ventimiglia (Palermo 17 novembre 1810 - Firenze 15 dicembre 1867), Principessa di Belmonte dal 1832. Ultima erede della casata, Marianna si unisce in matrimonio a Palermo il 2 settembre 1832 con Don Ferdinando Monroy e Barlotta  Principe di Pandolfina. Il ramo primogenito dei Ventimiglia di Belmonte si estinse così nei Monroy di Pandolfina, dando origine ai Monroy Ventimiglia.

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