Laura Sciascia

 


Carissimi amici, vi propongo un'intervista a Laura Sciascia, già ricercatrice di Storia Medievale all’Università di Palermo, ha pubblicato diverse edizioni di fonti documentarie e ha studiato la storia di famiglie della nobiltà medievale e delle città siciliane, la scrittura come specchio della società, la monarchia aragonese di Sicilia con particolare attenzione per il ruolo delle regine. Figlia di Leonardo Sciascia.

Parliamo di una delle sue ultime opere: "Tutte le donne del reame. Regine, dame,pedine è avventuriere nella Sicilia medievale". Quale ruolo ha avuto la figura femminile nella controversa Sicilia medievale? Cosa l'ha spinta parlare della donna del medioevo?

Rispondo prima all’ultima domanda. Io sono cresciuta in un mondo di donne: in casa mia eravamo in sei: io, mia madre, mia sorella e tre prozie, sorelle di mio nonno. Soli uomini mio padre e il marito di una delle prozie. Attorno c’erano tante altre donne, parenti, amiche, colleghe di lavoro di mia madre e di una delle prozie, entrambe maestre elementari, vicine di casa, aiuti domestici. In quest’ambiente è nata la mia curiosità per il modo in cui le donne, le cui esistenze erano tutte simili, ingabbiate in norme e consuetudini rigide, riuscissero ad essere e vivere in molti modi diversi, mentre gli uomini che avevano vite molto diverse, rimanevano fondamentalmente tutti uguali, con gesti e comportamenti talmente simili da sembrare stereotipati. Questa curiosità mi ha portato a prediligere le scrittrici, a cominciare dalle grandi scrittrici inglesi, come Jane Austen, George Eliot e Virginia Woolf, con una grande ammirazione per le capacità narrative e la vena di ironia che contraddistinguono la letteratura al femminile.

Studiando la storia, poi, mi ha sempre colpita il fatto che le donne vi avessero così poca parte, e venissero ricordate solo in quanto madri di re, mentre sembrava che non avessero mai avuto nessun ruolo politico o culturale, e così mi è venuto naturale estendere la mia curiosità per il modo di essere delle donne anche a quello che era ormai il mio lavoro, tanto più che i documenti che leggevo ogni giorno erano pieni di donne: giovani spose dai ricchi corredi, donne che in punto di morte dettavano lunghi e dettagliati testamenti, vedove impegnate in aspre battaglie legali per ottenere la tutela dei figli, donne d’affari che gestivano attività artigianali o agricole.

Intanto era emersa la storiografia femminista, la storia delle donne o storia di genere: una corrente storiografica che mi ha sempre destato molte perplessità, perché secondo me parlare di una storia delle donne separata da quella degli uomini porta ad impostare il tema in maniera restrittiva. Preferisco parlare e studiare una storia con le donne, che restituisca loro il ruolo vissuto nel loro tempo, senza enfasi e vittimismi eccessivi.

Se fossi più giovane ora mi interesserei a quelle che io definisco principesse migranti: giovani donne, spesso bambine, spedite in paesi lontani, destinate a sposi che potevano essere altri bambini o vecchi al secondo o terzo matrimonio, accompagnate da nobili, uomini di chiesa e mercanti e con una dote che dimostrasse ricchezza e potenza della famiglia.

Lei nelle sue opere si è occupata spesso del medioevo, quanto è stato importante quel periodo storico per la Sicilia?

Il Medioevo è stato il periodo storico più importante per la Sicilia e la Sicilia medievale è una delle espressioni più interessanti del Medioevo. Il sincretismo culturale, politico e amministrativo della Sicilia medievale è un oggetto di studio inesauribile. Purtroppo molte tracce di quel passato si sono perdute: ricordo una mia amica, al lavoro sull’archivio di un convento femminile, a cui le suore presentarono un sacchetto pieno di antiche pergamene chiedendole se le potevano buttare. Ma per fortuna la ricerca d’archivio dà sempre buoni frutti, richiede solo tempo e pazienza. E intuito.

Belle sorprese vengono anche dal restauro dei monumenti: recentemente, dei lavori nel convento di s. Caterina a Palermo hanno portato alla luce i resti di un soffitto dipinto, simili a quello dello Steri, che si intuisce molto ricco, e che faceva parte del palazzo di Ruggero Mastrangelo, il capo del Vespro a Palermo.

Secondo lei i siciliani conoscono abbastanza della storia della loro isola o hanno un vuoto culturale in questo tema?

Non solo i siciliani, ma tutti gli italiani hanno un grosso vuoto culturale sulla loro storia. Molte persone colte ignorano totalmente fatti storici importanti e personaggi illustri. Ricordo per esempio un medico, che quando gli dissi che mi occupavo di storia medievale esclamò: il Medioevo! I celti! Tutto quello a cui riusciva a pensare sul Medioevo erano i celti. L’Italia è un paese senza memoria, in cui la storia viene studiata male e costantemente mistificata. Manca totalmente, per esempio, una buona storiografia divulgativa, molto diffusa altrove, specie nei paesi anglosassoni. La divulgazione storica italiana è maldestra e spesso becera: la storia d’Italia di Montanelli ne è un esempio vistoso.

Adesso qualche domanda su suo padre. Che padre è stato Leonardo Sciascia? Come ha vissuto il rapporto con questo illustre padre? Qual'è la cosa più importante che le ha insegnato?

Quando io sono nata mio padre aveva ventiquattro anni, quando è diventato famoso io ero ormai uscita dall’adolescenza. Dunque ho avuto un padre giovane, pronto a giocare, a raccontare, a farmi sfogliare un libro, a portarmi al cinema a vedere un buon film o anche solo un film divertente trascurando i compiti. Ma anche da piccola ho avuto la sensazione che fosse una persona speciale, come un miracolo nel piccolo mondo familiare e paesano in cui vivevamo.

Suo padre ha usato tutti i linguaggi della comunicazione: poesia, saggio, racconto, romanzo, commedia, giornalismo etc... Secondo lei qual'era il canale comunicativo che prediligeva?

Il suo naturale strumento di espressione era il racconto, tutto quello che ha scritto in realtà è racconto. Anche le raccolte di saggi sono organizzate per formare un racconto.

Quanto è stato importante un insegnante come Vitalino Brancati nella formazione culturale di suo padre?

In realtà Brancati non è stato un insegnante di mio padre, insegnava solo nella stessa scuola. Ma credo che per mio padre sia stato importante l’esempio di uno scrittore che amava, ammirava e seguiva assiduamente ed era anche parte della vita di tutti i giorni.

Fra le sue opere mi ha sempre incuriosito "La scomparsa di Majorana" dove suo padre ipotizza l'allontanamento volontario del fisico, che scelse la fuga intuendo l'uso bellico delle scoperte sue e degli altri ragazzi di via Panisperna. Da cosa nasce l'interesse di suo padre per le vicende del fisico siciliano?

Credo che in origine sia stato interessato dalla storia di quest’uomo di genio che decide di sparire senza lasciar traccia e ci riesce, e in seguito abbia pensato che lo scienziato volesse in realtà fuggire da quella meta dei suoi studi di cui intuiva il potenziale distruttivo. Il libro ha suscitato molte discussioni nella comunità scientifica, che ogni tanto vengono di nuovo a galla, per non parlare di tutte le nuove identificazioni di Majorana in Argentina o altrove, ma facendone soltanto la ricostruzione di una vicenda misteriosa e destinata a rimanere tale se ne perde di vista il suo autentico significato, e cioè quello di un allarme sui pericoli della ricerca scientifica effettuata senza tener conto dei limiti imposti dall’etica, quanto mai attuale in questo momento.

Qual'è l'eredità morale che Leonardo Sciascia ha lasciato a tutti noi?

I suoi libri. È una grande eredità, che come tutte le eredità si deve curare e coltivare.

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