I Vespri Siciliani
Cari amici, nei secoli la Sicilia non si è certo fatta mancare le sue "Primavere Arabe". Ovvero, le insurrezioni nate per rovesciare il "potente" di turno.
Una delle più importanti è senz'altro quella scoppiata il lunedì di Pasqua del 1282. Tale rivolta nel '500 prese il nome di: Vespri Siciliani, per l'ora (del vespro) in cui scoppiò la rivolta.
Il "potente" era Carlo d'Angiò; egli aveva preso il potere in seguito alla morte di Corrado IV di Svevia (figlio di Federico II), alla sconfitta e uccisione di Manfredi, fratello di Corrado, e alla cattura e decapitazione dell'ultimo Re Svevo di Sicilia, ovvero, Corradino di Svevia.
Questo fu possibile grazie all'intervento di Papa (in)Clemente IV che aveva incoronato Carlo re di Sicilia.
In Sicilia la situazione si era fatta particolarmente
critica per una generalizzata riduzione delle libertà baronali e, soprattutto,
per una opprimente politica fiscale. L'isola, da sempre fedelissima roccaforte
sveva, che dopo la morte di Corradino aveva resistito ancora per alcuni anni,
era ora il bersaglio della rappresaglia angioina. Gli Angiò si mostrarono
insensibili a qualunque richiesta di ammorbidimento ed applicarono un esoso
fiscalismo, praticando usurpazioni, soprusi e violenze. I nobili siciliani e in
particolare il diplomatico Giovanni da Procida riponevano le proprie speranze
in Michele VIII Palaeologo, imperatore bizantino già in contrasto con Carlo I
d'Angiò, in Papa Niccolò III, che si era dimostrato disponibile ad una
mediazione, ed in Pietro III d'Aragona. Tutto ciò aumento il risentimento verso gli Angioini.
Ma andiamo alla rivolta: Tutto ebbe inizio, come detto, in concomitanza con la funzione serale dei
Vespri del 30 marzo 1282, lunedì dell'Angelo, sul sagrato della Chiesa del
Santo Spirito, a Palermo. A generare l'episodio fu - secondo la ricostruzione
storica - la reazione al gesto di un soldato dell'esercito francese, tale
Drouet, che si era rivolto in maniera irriguardosa a una giovane nobildonna
accompagnata dal consorte, mettendole le mani addosso con il pretesto di
doverla perquisire. A difesa di sua moglie, lo sposo riuscì a sottrarre la
spada al soldato francese e a ucciderlo. Tale gesto costituì la scintilla che
dette inizio alla rivolta. Nel corso della serata e della notte che ne seguì i
palermitani - al grido di "Mora, mora!" - si abbandonarono a una vera
e propria "caccia ai francesi" che dilagò in breve tempo in tutta
l'isola, trasformandosi in una carneficina. I pochi francesi che sopravvissero
al massacro vi riuscirono rifugiandosi nelle loro navi, attraccate lungo la
costa.
Si racconta che i siciliani, per individuare i francesi che
si camuffavano fra i popolani, facessero ricorso a uno shibboleth, mostrando
loro dei ceci («cìciri», nella lingua siciliana) e chiedendo di pronunziarne il
nome; quelli che venivano traditi dalla loro pronuncia francese (sciscirì),
venivano immediatamente uccisi.
Secondo la tradizione, la rivoluzione del Vespro fu
organizzata in gran segreto dai principali esponenti della nobiltà siciliana.
Tre furono i principali organizzatori, insieme a Giovanni da Procida, medico di
Federico II, ed Enrico Ventimiglia (antenato di Giuseppe Emanuele, principe di
Belmonte), conte di Geraci: Alaimo di Lentini, Signore di Ficarra; Palmiero
Abate, Signore di Trapani e Favignana e Gualtiero di Caltagirone, Signore di
Butera.
All'alba dell'indomani, la città di Palermo si proclamò
indipendente. La rivolta si estese subito a tutta la Sicilia. Dina e Clarenza
suonano la campana per avvertire i messinesi dell'attacco angioino (Messina,
particolare del campanile del Duomo).
Dopo Palermo fu la volta di Corleone, Taormina, Messina,
Siracusa, Augusta, Catania, Caltagirone e, via via, tutte le altre città. Successivamente,
gli insorti richiesero il sostegno del Papa Martino IV, affinché appoggiasse
l'indipendenza dell'isola e la patrocinasse; tuttavia, il pontefice era stato
eletto al soglio papale grazie all'appoggio dei suoi connazionali francesi e
pertanto non accolse le richieste degli isolani, bensì appoggiò l'azione
repressiva degli angioini. Carlo I d'Angiò tentò invano di sedare la rivolta
con la promessa di numerose riforme; alla fine decise di intervenire
militarmente.
Famoso simbolo di quella lotta divenne il termine «Antudo!»,
una parola d'ordine usata dagli esponenti della rivolta. Antudo è l'acronimo
per le parole latine "Animus Tuus Dominus" e che vuol dire "il
coraggio è il tuo Signore". Il 3 aprile 1282 veniva adottata la bandiera
giallo-rossa, con al centro la Triscele e che diverrà il vessillo di Sicilia.
La bandiera venne formata dal giallo di Corleone e dal rosso di Palermo a
seguito di un atto di confederazione stipulato da 29 rappresentanti delle due città.
Antudo fu scritto anche nel vessillo.
Si susseguirono una serie di guerre. Infatti Carlo I nel
maggio successivo inviò in Sicilia una flotta con 24.000 cavalieri e 90.000
fanti per sedare la rivolta dei siciliani. Il parlamento siciliano allora offrì
la corona di Sicilia a Pietro III d'Aragona, marito di Costanza, ultima degli
Svevi, figlia del defunto Re Manfredi. Carlo fu sconfitto nel settembre 1282 e,
fece ritorno a Napoli, lasciando la Sicilia nelle mani di Pietro III. Ebbe
inizio così un ventennale periodo di guerre tra gli angioini e gli aragonesi
per il possesso dell'isola.
La pace di Caltabellotta fu il primo accordo ufficiale di
pace firmato il 31 agosto 1302 nel castello della cittadina siciliana fra Carlo
di Valois, come capitano generale di Carlo II d'Angiò, e Federico III
d'Aragona; tale trattato concluse quella che viene indicata come la prima fase
dei Vespri.
I Vespri rappresentano una fondamentale tappa della storia
siciliana: il lungo legame tra Sicilia e Aragona, che poi diverrà inclusione
dell'isola nel regno unificato di fine XV secolo, nasce in questo contesto.
Tale legame realizzò l'inserimento della Sicilia nel teatro mediterraneo, in
cui la Corona d'Aragona rappresentava l'avversario degli Angioini e del Papa.
L'isola divenne inoltre fulcro di interessi commerciali, contesi tra le potenze
marittime di quel tempo (Barcellona, Genova, Firenze, Pisa, Venezia). Infine,
moltissime famiglie nobili si trasferirono in Sicilia dalla penisola iberica,
integrandosi con la nobiltà siciliana e finendo per costituire una componente
importante della nobiltà isolana nei secoli successivi.
Un altro elemento degno di considerazione è la natura
particolare del regno così nato. I ceti siciliani dominanti, attraverso il
governo provvisorio, avendo richiesto a Pietro di assumere la corona, si
rapportarono agli Aragonesi sempre come interlocutori piuttosto che come
sudditi, nel segno di una monarchia "pattista", che avrebbe dovuto
tutelare e conservare le tradizioni del Regno e quindi anche la sua origine.
Sotto questo aspetto, la monarchia sorta nel 1282 differisce profondamente da
quella costituita sull'isola dai Normanni e dagli Svevi.
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