Padre di famiglia; capitolo 4





“Nonno… Vuoi un po’ d’acqua?” Mentre avanzava nel racconto, cominciò a stringersi il suo cuore, a tal punto che alcune lacrime ed un groppo alla gola gli impedirono di proseguire. 
“No… no, non c’è bisogno” rispose asciugandosi gli occhi. “Papà, bevi un po’ se no difficilmente puoi continuare.” 
Dopo aver bevuto, il Sergente riuscì a proseguire: “Dopo aver salutato il piccolo, Franco cominciò a correre verso il colle per raggiungere l’inizio della discesa che conduceva alle porte di Palermo. Giunto su, dopo essersi fermato qualche istante per riposare, prese la discesa a rotta di collo. 
Zio Simone sobbalzò intuendo che era stato Franco a bussare violentemente al portone. «Ah, tu sei? Entra… entra pure!» esclamò lo zio, non riuscendo a celare la sua preoccupazione. «Da dove vieni, cos’è successo?» 
«Sono rovinato… Zio, mi hanno incastrato…» stanco e affaticato com’era non riusciva nemmeno a parlare. 
«Stai tranquillo, prendi fiato e dimmi che diamine è successo!» 
“Franco prese fiato e cominciò a raccontare l’accaduto. Zio Simone ascoltava con ansia. Mentre il nipote proseguiva nel narrare, lentamente si andava persuadendo della gravità del fatto. Cominciava a domandarsi in che modo avrebbe potuto aiutarlo. Quando Franco finì di parlare già ne era venuto a capo. 
«Franco, ti aiuterò io! Dammi il tempo di prepararmi. Verrai con me al porto, lì troveremo chi ci aiuterà.» 
“Zio Simone da tanti anni lavorava al porto di Palermo, da lì sarebbe iniziata la nuova vita di Franco. Il fratello Nitto aveva pensato allo zio perché era sicuro che lui avrebbe trovato il modo di aiutarlo. 
«Zio cosa faremo?» chiese Franco, mentre il carretto avanzava cigolando nella notte. 
«Per uscire da questo guaio devi allontanarti per un po’ di tempo.» 
«Ma io non voglio fuggire!» 
«Questa non sarà una fuga, ma un allontanamento nell’attesa che le cose si sistemino.» 
«Va bene!» commentò tristemente Franco. «Dove andrò?» 
«Ti imbarcherai sul postale per Napoli, ho amici napoletani che ti aiuteranno.» 
“Arrivarono al porto che albeggiava, il sole aveva appena superato Capo Zafferano tingendo tutto di rosso. 
“Zio Simone lasciò Franco a guardia del carro e si avvicinò ad un uomo – un addetto del porto intento a scaricare merci – e gli sussurrò qualcosa. A quel punto lasciò tutto e lo seguì avvicinandosi al carro. 
«Franco, quest’amico ti aiuterà!» disse Simone presentando l’amico Giorgio al nipote. 
«Ragazzo mio, di quello che posso!» esclamò quell’uomo stringendo la mano di Franco. 
«Segui lui e fidati!» ribattè lo zio. 
«Grazie zio!» chiuse Franco, abbracciando Simone. 
“Franco abbandonò lo zio e seguì Giorgio. 
“I due salirono sulla nave, e Franco non riusciva ad andare dietro a quell’uomo. Conosceva l’imbarcazione come le sue tasche, saliva… scendeva… destra… sinistra… Poi all’improvviso si fermò, aprì una porticina e scese – sempre seguito da Franco – una lunga scala di ferro. Fermatosi davanti ad una porta, aprì con una chiave ed entrarono entrambi. 
«Ragazzo, stai qua e non uscire prima che la nave arrivi, uscirai soltanto quando sei sicuro che sia ferma. Arrivato a Napoli, uscendo dalla nave vedrai un uomo bassino con dei grandi baffi, si chiama Andrea, digli che ti manda Giorgio Battaglia di Palermo, raccontagli tutto e non farti bloccare dai suoi modi bruschi, è un brav’uomo. Fidati di lui.» 
“Rimasto solo, Franco si guardò intorno. Si trovava in uno spazio angusto, poco più di uno sgabuzzino; unico comfort una panca su cui si adagiò. Fu la prima volta che potè pensare alla figlia, già le mancava da impazzire, il vuoto era incolmabile. Pensando a lei appoggiò la testa al muro a si addormentò. 
“Fu il fischio della nave a ridestarlo. Pensò di essere arrivato, ma ascoltando il brusio dei motori capì che la nave era ancora in movimento. 
“Occorsero altre sei ore per arrivare a Napoli.

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