I moti rivoluzionari del 1848-49
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La Masa |
Nel gennaio del 1848, in Sicilia scoppiò un'insurrezione popolare, a cui successivamente si aggiunse la borghesia popolare, mossa soprattutto dalla volontà di ripristinare la Costituzione del 1812. La rivoluzione siciliana scoppiò il 12 gennaio 1848 in Piazza della Fieravecchia a Palermo, capitanata da Giuseppe La Masa. Dopo sanguinosi scontri, La Masa, al comando di un esercito popolare, riuscì a scacciare la luogotenenza generale e gran parte dell'esercito borbonico dalla Sicilia, costituendo un «comitato generale rivoluzionario». Il comitato generale istituì un governo provvisorio a Palermo; tra le felicitazioni generali e l'ottimismo, Ruggero Settimo, un liberale moderato appartenente alla nobiltà siciliana, venne nominato presidente. L'estensione del movimento insurrezionale alla Campania ed al resto del regno fu immediato. Il re, dopo alcuni tentativi di frenare il movimento con caute concessioni, cercò di arginare le richieste liberali concedendo la Costituzione, per primo in Italia, con Regio Decreto del 29 gennaio.
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Ferdinando II |
Nel settembre 1848, dopo aver richiamato in patria l'armata napoletana schierata in Lombardia ed aver sospeso le attività parlamentari, il Re decise di reprimere con la forza anche il separatismo siciliano, sopprimendo la rivoluzione e il Parlamento che da questa era stato eletto.
La gente di Sicilia, man mano che sentiva del ritorno dei Borbone, scappava di solito nelle montagne; e i Borbone, non vedendo nei paesi la gente, pronta ad accoglierli, distruggevano gli stessi paesi. Sorte che tocco a Belmonte Mezzagno.
I moti a Belmonte
Tutto cominciò il 7 maggio 1849 - già da qualche giorno i belmontesi erano fuggiti sulle montagne - verso le 7 di sera il generale Prono arrivò in paese con parte dell'esercito borbonico, ad accoglierlo trovò soltanto l'economo sacramentale Padre Luigi Mario Furitano, e il cappellano celebratario della Chiesa Miseremini (Anime Sante) Padre Angelino Moltisanti (in "nomen omen"). I due ministri andarono verso il Generale offrendo pace assicurando la fedeltà del popolo belmontese a re Ferdinando, affinché, il Generale non distruggesse il paese. Egli accettò l'offerta, Padre Furitano, come segno di riconoscenza, benedisse lui e l'esercito con l'ostensorio contenente il SS. Sacramento.
Le paure del Reverendo l'indomani, 8 maggio 1849, purtroppo, si concretizzarono: squadre ribelli venute da Palermo attaccarono i soldati nei monti intorno al paese, vedendo questo il Generale, dopo aver scacciato i ribelli, ordinò la distruzione del borgo. I soldati eseguirono l'ordine, lasciando in piedi soltanto la Chiesa Madre e la Chiesa Miseremini.
L'esercito rimase in paese 7 giorni, prima di rientrare a Palermo.
Quando l'esercito scomparve, i belmontesi scesero dai monti trovando le proprie case ormai ridotte in ceneri fumanti. Ai due Reverendi rimase l'orrore negli occhi, e un popolo da consolare.
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