Danilo Dolci

Carissimi, oggi propongo un approfondimento su un uomo che, pur non avendo avuto i natali in Sicilia, è stato grande protagonista della vita sociale e politica siciliana dello scorso secolo. Mi riferisco al grande sociologo, poeta ed educatore Danilo Dolci.

A conclusione dell'approfondimento, proporrò una breve intervista al figlio Amico Dolci, sulla straordinaria figura di suo padre.

Danilo Dolci nasce a Sesana (TR), oggi territorio sloveno, il 28 giugno 1924, da Meli Kontelj ed Enrico Dolci.
Nel periodo adolescenziale, in Danilo comincia a nascere un sentimento contrario ad ogni forma di sopruso, infatti, assistendo in prima persona all'occupazione fascista della Slovenia (1941), cresce in lui una fervente opposizione al regime. A causa di tale atteggiamento, dopo il rifiuto di aderire alla Repubblica di Salò; nel 1943 viene arrestato a Genova, da dove riesce a fuggire riparando in un piccolo borgo dell'appennino abruzzese.
Alla "Sapienza" di Roma comincia a studiare Architettura, studi che continuerà a Milano. In questo periodo conosce Franco Alasia, con cui avvierà una forte amicizia che condurrà entrambi alle lotte non violente in Sicilia. Prosegue gli studi di Architettura al Politecnico di Milano, ma nel 1950, poco prima di discutere la tesi, decide di lasciare tutto per aderire all'esperienza di Nomadelfia - comunità animata da don Zeno Saltini - a Fossoli (frazione di Carpi).

La svolta della sua vita arriva nel febbraio 1952, quando il suo interesse per il patrimonio artistico, culturale e storico della Sicilia, lo spinge a sospendere gli studi in Architettura e a trasferirsi a Trappeto: piccolo borgo in provincia di Palermo, dove il padre ferroviere aveva precedentemente lavorato. 
Lì, per Danilo, comincia un periodo di condivisione di tutta la miseria, la violenza e la sopraffazione che è costretto a subire il popolo siciliano degli anni '50.
Nel ottobre del 1952, assistendo alla morte per fame del fanciullo Benedetto Barretta, capisce che bisogna intervenire: non si poteva stare fermi davanti ad un tasso di mortalità infantile cosi elevato. Decide di cominciare uno sciopero della fame, unico modo per stimolare l'attenzione delle istituzioni.
Tale iniziativa riesce a smuovere le coscienze, infatti, ottiene da parte delle istituzioni un impegno pubblico ad interessarsi ai problemi del luogo; cominciando dalla costruzione della rete fognaria.

Durante il primo anno di attività a Trappeto, Dolci vive in una tenda da campeggio e condivide il lavoro con i suoi colleghi pescatori ma soprattutto compagni, con i quali condivide tutta la sua vita che finiscono per ospitarlo a casa loro. Le case sono sporche e anguste e si dorme male e stretti, ma si riesce a mangiare qualcosa tra un dialogo e un altro in pieno spirito di condivisione: “nello stesso tempo si interrogano e si chiedono come mai un uomo come lui abbia deciso di vivere in mezzo a loro facendo una vita «spacinziata» (da far perdere la pazienza) e più povera di quella di loro – che pur non avevano niente – conducevano.
Due anni dopo il suo arrivo Dolci, grazie al contributo economico di numerosi intellettuali tra cui Elio Vittorini, Aldo Capitini, Ferruccio Parri, Ernesto Treccani, Bruno Zevi e Carlo Levi, riesce a comprare un terreno del borgo di Trappeto sul quale sorge oggi: Borgo di Dio. Qui Dolci realizza e sperimenta la modalità con cui si sviluppa la vera e propria metodologia di lavoro futura di ricerca e azione, frutto di una commistione di fiducia nell'uomo e aggregazione dal basso, a partire dai bisogni.

Nel febbraio 1956, Danilo dimostra il suo modo unico di interessarsi ai problemi che lo circondano. Infatti, organizza uno "sciopero alla rovescia", forma di protesta che aveva alla base un'idea nuova: se un'operaio in sciopero non lavora, "noi" disoccupati scioperiamo lavorando! L'idea è vincente, centinaia di disoccupati cominciano a lavorare al rifacimento di una strada di campagna in stato d'incuria. In questa occasione, purtroppo, le istituzioni danno prova di tutta la loro inefficienza: molti dei partecipanti, tra i quali lo stesso Danilo, vengono arrestati. Il processo che seguirà vedrà l'assoluzione del Dolci.
Con lo scalpore suscitato, però, nessuno si sarebbe più voltato dall'altra parte rispetto ai gravi problemi dei siciliani dell'epoca.

Nel 1958, gli viene assegnato il Premio Lenin per la Pace, Dolci accetta il premio, si reca a Mosca, riscuote la somma e nel maggio dell'anno successivo, con i dodici milioni di lire del premio, costruisce il Centro Studi e Iniziative per la Piena Occupazione con sedi distribuite per tutta la Sicilia occidentale.

Ormai non ci si poteva più fermare, bisognava continuare nella lotta "non violenta". Danilo e i suoi collaboratori stabiliscono l'improrogabilità della realizzazione di una diga per la raccolta delle acque. Opera che avrebbe garantito, attraverso la possibilità di irrigare i campi, un forte sviluppo del territorio.
I lavori di costruzione - risolte le numerosissime questioni burocratiche, e assicurata la sottrazione del lavori alle ditte colluse con la mafia - cominciano il 27 febbraio 1963 per terminare due anni dopo, nel 1965.
 
Oltre ad essere uomo d'azione, Danilo Dolci è stato anche illustre scrittore; le sue opere: "Spreco", "Banditi a Partinico" e "Inchiesta a Palermo" sono un perfetto affresco delle condizioni economiche, politiche e sociali della Sicilia del suo tempo.

In "Spreco" Danilo si chiede: "Come possono milioni di persone sapere che è loro possibile cambiare la faccia della loro terra, finché il problema per loro non esiste davvero, finché non c'è alcuno che li aiuti a porselo?" ed ancora. "Come possono i cittadini muoversi consapevoli, sicuri, se non possiedono gli strumenti per conoscere le linee della valorizzazione? Come possono distinguere nel groviglio delle situazioni, se non acquistano una struttura mentale analitica, una severa capacità di analisi?" Per rispondere a questi temi, bisogna stimolare - nel tessuto sociale  - una forte capacità critico-maeutica. Ovvero, non solo porre i problemi, ma ancor più aiutare la gente a porseli.
Fondamentale per l'autore, è rompere, da qualche parte, il cerchio contro lo spreco di acqua, di cibo, di terra e soprattutto di uomini. Non si parla soltanto di spreco materiale, ma anche di emorragia morale: "Ogni cattiva organizzazione, ogni cattiva strutturazione significa spreco. Ogni ritardo tecnico-culturale significa spreco. Ogni parola al vento è spreco."

"Banditi a Partinico" è un'inchiesta sul banditismo, visto come fenomeno di "messa al bando" di un intero popolo da parte dello Stato, piuttosto che semplice illegalità. L'obiettivo del testo è quello di modificare il modo di guardare e pensare il meridione. Infatti, i banditi non sono delinquenti e criminali sono piuttosto braccianti, pastori, sono soltanto “poveri cristi”. L'opera creando un perfetto mix di dati statistici e storie personali raccontate in prima persona dai protagonisti, offre un'immagine perfetta di cosa il maestro della "non violenza" intendesse con l’espressione “rivoluzione dal di dentro”.

"Inchiesta a Palermo" è la storia di un limite che separa dal "mondo normale". – quello fatto di due pasti, un tetto, un lavoro, una famiglia regolare – una quantità paurosamente elevata di persone. Gente che vive una Palermo ben lontana - non fisicamente, uno dei quartieri esaminati dista pochi metri dal Palazzo dei Normanni - dalla città normanna, araba, liberty dello "stupor mundi", in un ambiente di miseria e degrado assoluto.

Nel 1971, gli viene assegnato il Premio Sonning: riconoscimento assegnato ogni due anni a personalità che si siano particolarmente segnalate per il loro contributo alla cultura europea. Premio qualche anno prima assegnato, fra gli altri, a Winston Churchill (1950), ed in seguito a Dario Fo (1981).

Danilo Dolci muore a Trappeto il 30 dicembre 1997.

Al di là dell'enorme statura etica, sociale e morale di Danilo Dolci, concluderei puntando l'attenzione sulla figura del Danilo uomo d'azione: davanti ai problemi si interrogava sempre su come risolverli, non fermandosi mai alla semplice doglianza o alla rassegnazione; comportamento che, purtroppo, sia nella società civile, sia nella classe politica siciliana di oggi è sempre più diffuso.

Intervista ad Amico Dolci:

Carissimo Stefano, ti scrivo come parlando ad un amico di vecchia data: tanto più che tu sai tantissime cose su Danilo, quindi mi limiterò solamente a qualche mio punto di vista, sapendo che conosci bene tutto il contesto.


Quali sono le motivazioni che hanno spinto tuo padre a trasferirsi a Trappeto? Nacque tutto dall'interesse per il patrimonio artistico - culturale della Sicilia, o aveva in qualche modo capito che l'isola aveva bisogno di lui?

Papà aveva già conosciuto la Sicilia nei primissimi anni ’40, perché venuto a trovare il padre (Capostazione delle Ferrovie a Trappeto), in occasione di alcune vacanze estive.
Il patrimonio artistico - culturale sicuramente impressionò molto il giovane Danilo che, diciottenne, oltre a conoscere le persone e i luoghi di Trappeto, Partinico, Balestrate, Alcamo etc., ebbe modo di visitare gli stupendi siti archeologici di Segesta, Selinunte e Agrigento; da avido lettore quale era sempre stato, per conoscere meglio quei luoghi si esercitava a fissarli nella memoria anche disegnandoli.
Inoltre, luoghi altrettanto belli (come Castellammare, Scopello, o la Grotta delle Colombe) li scopriva direttamente ‘via mare’, insieme ai suoi nuovi amici pescatori.

Così una decina di anni dopo (a seguito cioè della fondamentale esperienza di Nomadelfia, in cui ha potuto verificare il possibile ‘inveramento’ del Vangelo), ha deciso di dedicarsi totalmente a quelle persone e a quelle problematiche, in Sicilia, che gli davano la possibilità di contribuire a realizzare una nuova ‘comunità’, a cui ciascuno potesse partecipare secondo le proprie capacità e aspirazioni, armonizzandole con quelle degli altri.
In quella zona aveva conosciuto gli estremi assoluti di bellezza e atrocità, spreco e potenzialità, violenza e mitezza, ignoranza e sapienza … Cercando di conoscere meglio quei luoghi e quelle persone, penso abbia fortemente desiderato far emergere il meglio che tutto ciò poteva esprimere, dandogli visibilità e quindi forza; nel rapporto tra le persone (solidarietà), nella dignità della parola (coraggio), nella bellezza espressiva (linguaggio / poesia), nella profondità delle radici (culture diverse coesistenti).
Ma il tema principale, drammatico, era la mancanza di ‘esperienza del cambiamento possibile’: esperienza che lui aveva concretamente vissuto a Nomadelfia, e desiderava fortemente mettere in atto in quella parte della Sicilia occidentale, dove la maggior parte delle persone insistevano a sostenere che ‘tutto è sempre stato così, non cambierà mai nulla’.
Non credo pensasse che ‘l’isola aveva bisogno di lui’, è sempre stato semplicemente umile, consapevole dei limiti propri e di ciascuno: ma sono certo che sapeva che era necessario impegnarsi per qualcosa che andava oltre quelle singole persone, oltre quei luoghi martoriati anche dalla storia più recente.

Qual'è la sua eredità morale? Qual'è il messaggio profondo che ha voluto lasciarci con la sua testimonianza di vita?

Ritengo che il suo personale impegno, considerato nel totale della sua vita (cioè già dall’adolescenza, fino agli ultimi anni) consista nel riconoscere all’umanità la capacità di ‘perfezionarsi’ nella (e attraverso la) vita sia spirituale che materiale: tanto quella di ogni giorno, quanto nella prospettiva di millenni; nutrendosi ciascuno del meglio della sensibilità che abbiamo nel leggere il mondo, come pure della possibilità / capacità di modificarlo.
In questo senso, fondamentale mi pare il suo qualificatissimo contributo a che ciascuno possa considerarsi (semplicemente, come lui) uno ‘strumento’ pluridirezionale, consapevole al massimo sia delle proprie capacità ricettive (di ascolto, comprensione, empatia) quanto di quelle produttive (espressive, relazionali, creative).

 Che consigli ti senti di dare ai giovani - mi riferisco al mondo dell'associazionismo - che vogliono continuare "la rivoluzione dal di dentro" ideata da tuo padre?

Molto semplicemente, consiglio a ciascuno di prendersi il tempo, e lo spazio, per potersi mettere veramente in comunicazione con sé stessi e con gli altri.
Non mi risulta che oggi ci siano tante possibilità / occasioni per poterlo fare; siamo sempre più ‘collegati’ gli uni agli altri, ma non in maniera ‘profonda’, autentica: tante persone ‘vicine’ (in un autobus, in una classe, o ammassate in uno stadio) non necessariamente ‘comunicano’. Spesso la superficialità delle esperienze diffuse (sensoriali, emotive, relazionali) determinano una consolidata abitudine al cosidetto ‘reale’; ma tutto ciò non ha nulla a che fare con la meraviglia delle infinite possibilità del nostro sentire, del nostro vedere, del nostro scegliere e del nostro svilupparci: individualmente e insieme.
Ecco, penso che un bel contributo affinché ciascuno possa essere più se stesso, e meglio in comunicazione con gli altri, potrebbe essere quello di creare occasioni di ascolto reciproco e libera espressione nelle scuole, nelle famiglie, nelle associazioni, ma anche nelle istituzioni, nella politica; credo pure che in tutto questo anche gli strumenti tecnologici possono aiutarci, inventando sempre nuove occasioni, come tu stesso hai saputo realizzare invitandomi a queste riflessioni: sarei felice, quindi, di sentirti / leggerti al riguardo.


Un abbraccio, Amico                     

 

Commenti

  1. "CHI LAVORA A FARE PROGRAMMI, HA O CREDE DI AVERE MOLTO TEMPO DINNANZI A SE. FA UNA POLITICA, COME SI DICE, A LUNGA SCADENZA. SE POI I POLITICI NON LO ASCOLTANO, PEGGIO PER LORO : EGLI HA FATTO IL SUO DOVERE. A DANILO NON SEMBRO GLI FOSSE TEMPO DA PERDERE. FARE PRESTO E BENE PERCHÉ SI MUORE." N. BOBBIO (INTRO, BANDITI A PARTINICO)

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