Giovani talenti siciliani: Giovanni Di Liberto

Giovanni con il professor Merkler 
Per giovani talenti siciliani, oggi propongo un'intervista al medico ricercatore belmontese Giovanni Di Liberto.


Dove vivi e da quanto tempo?

Abito a Ginevra in Svizzera da 2 anni e mezzo.

Che percorso di studi hai compiuto?

Mi sono laureato in Medicina e Chirurgia all’Università degli Studi di Palermo a luglio 2015, ho conseguito l’abilitazione a febbraio 2016. Ad aprile 2016 mi sono trasferito a Ginevra per lavorare come ricercatore nel laboratorio del prof. Doron Merkler nell’ambito del programma di dottorato M.D.-Ph.D. dell’Università di Ginevra. 

Potresti spiegarci in che consiste la scoperta, tua e dei tuoi colleghi, sull'attacco dei linfociti T CD8 ai Neuroni?

I linfociti T CD8+ sono cellule del sistema immunitario che hanno il compito di proteggere l’organismo principalmente da virus e cellule tumorali. Tuttavia, in alcune patologie definite autoimmunitarie, questi linfociti attaccano uno o più organi, ad esempio possono attaccare le cellule beta del pancreas (causando il diabete), la tiroide (provocando alcune tiroiditi) oppure il cervello. Quando i linfociti T CD8+ attaccano i neuroni, siamo di fronte ad una encefalite (infiammazione del cervello). Esistono tante forme di encefalite autoimmune, una di queste prende il nome di encefalite di Rasmussen. L’encefalite di Rasmussen è molto rara ma devastante, colpisce principalmente i bambini ed interessa soltanto un emisfero del cervello, che viene attaccato da numerosi linfociti T CD8+ e altre cellule dell’infiammazione, comportando crisi epilettiche che sono resistenti al trattamento farmacologico. Ad oggi, purtroppo l’unico trattamento è chirurgico e consiste nell’asportazione della parte del cervello affetta e ciò comporta ovviamente una notevole disabilità. Per studiare questa encefalite ci siamo serviti di un modello sperimentale nel topo e abbiamo validato i risultati ottenuti in biopsie di pazienti affetti da encefalite di Rasmussen ed altre forme di encefalite. Questo modello prende il nome di viral déjà vu, perché gli animali da esperimento vengono sottoposti a due infezioni virali per innescare una malattia che è istologicamente molto simile a quella che osserviamo nell’uomo.
Una caratteristica importante dell’Encefalite di Rasmussen e del viral déjà vu è la perdita delle sinapsi nei neuroni che vengono attaccati. Quando io ho preso parte al progetto, non sapevamo ancora cosa determinasse questa perdita sinaptica che era responsabile del malfunzionamento dei neuroni. Io e i miei colleghi abbiamo scoperto che i linfociti T producono una citochina chiamata interferone gamma e questa molecola tramite il suo recettore sulla superficie dei neuroni innesca l’attivazione di un meccanismo di neuro-infiammazione che coinvolge una proteina chiamata STAT1. Questa molecola una volta resa attiva, migra nel nucleo del neurone e lo porta a produrre tante molecole pro-infiammatorie tra cui CCL2, questa molecola richiama alcune cellule dell’infiammazione che si chiamano fagociti. I fagociti sono cellule che mangiano, normalmente patogeni o residui di cellule danneggiate. In questo caso, i fagociti mangiano le sinapsi dei neuroni, impedendo ad essi di funzionare. Questo meccanismo nel soggetto sano probabilmente serve ad impedire ad un virus che infetta i neuroni, di passare da un neurone all’altro tramite le sinapsi (come succede con il virus della rabbia o del morbillo). Nei pazienti con encefalite siccome un vasto numero di neuroni viene attaccato, questo meccanismo risulta dannoso.

Che riscontri può avere tale scoperta in campo medico?

Comprendere come i neuroni reagiscono in seguito ad un attacco del sistema immunitario ci aiuta a capire come si scatenano le malattie infiammatorie del sistema nervoso. La comprensione delle molecole e delle cellule coinvolte può essere utile nella sperimentazione di nuove terapie farmacologiche per l’encefalite di Rasmussen ed altre malattie neuroinfiammatorie. Ad esempio esistono farmaci che impediscono l’attivazione di STAT1 o dei fagociti e potrebbero essere testati in questa patologia.


Se in Sicilia troveresti una posizione lavorativa che ti garantisse di operare nel campo degli studi fin qui compiuti, con un equo compenso economico, torneresti nella tua terra natia?

Certamente questa è forse la domanda più difficile. Il problema in questo caso non è il compenso economico. Io ritengo che il problema della Sicilia e dell’Italia in generale è un problema sociale.
In Italia ho notato che vige sempre e comunque un clima molto teso, è come se fosse in corso una continua lotta alla sopravvivenza. Tuttavia questa lotta alla sopravvivenza non è quella Darwiniana, in cui sopravvive il migliore, il più adatto.
L’Italia difficilmente valorizza il migliore, anzi tende ad appiattire tutte le differenze verso la mediocrità, in maniera tale da avvantaggiare “alcuni” secondo criteri oscuri o purtroppo noti. Questo sistema malfunzionante si ripercuote nell’inefficienza di molti servizi, nello spopolamento delle città del sud Italia, e nel sovraffollamento degli aeroporti, nell’ingiustizia sociale.
Il trattamento per questa malattia, è cominciare a valorizzare i talenti che ci sono (Belmonte per qualche strano motivo è stracolmo di talenti) e dare loro l’opportunità di servire il territorio, ma non a parole, piuttosto con fatti concreti (che tuttavia stentano ad arrivare).
Uno dei miei sogni è quello di diventare un buon medico, insegnare all’Università, e fare ricerca.
Il Signore mi ha dato molti talenti, quindi vorrei un giorno poter dire di averli messi a frutto al meglio delle mie possibilità. Non è semplice, però spero che un giorno potrò ritornare nella mia terra e di cambiarla in positivo, grazie alla mia esperienza e professionalità.

Ringrazio Giovanni per la disponibilità.

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