Portella della Ginestra

Cari amici, in questo post voglio - in punta di piedi - analizzare uno dei più grandi misteri italiani: il caso della strage di Portella della Ginestra avvenuta il 1° maggio 1947.

Risaputo è che gli esecutori materiali dell'eccidio furono Salvatore Giuliano e i suoi uomini... Ma i fatti forse non andarono come fino ad oggi ci sono stati raccontati.

Prima di continuare la riesamina, tengo a precisare che la mia non vuole essere in alcun modo un'assoluzione di Giuliano di fronte ai suoi delitti, ma vuole soltanto raccontare le vera storia dell'eccidio di Portella.

Cominciamo come sempre, dal quadro storico: 
Il 1º maggio 1947, nel secondo dopoguerra, si tornava a festeggiare la festa dei lavoratori, spostata al 21 aprile, ossia al Natale di Roma, durante il regime fascista. Circa duemila lavoratori della zona di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, in prevalenza contadini, si riunirono in località Portella della Ginestra, nella vallata circoscritta dai monti Kumeta e Maja e Pelavet, per manifestare contro il latifondismo, a favore dell'occupazione delle terre incolte e per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti elezioni per l'Assemblea Regionale Siciliana, svoltesi il 20 aprile di quell'anno e nelle quali la coalizione PSI - PCI aveva conquistato 29 rappresentanti su 90 (con il 32% circa dei voti) contro i soli 21 della DC (crollata al 20% circa). Capirete che l'avanzare del Blocco del Popolo poteva spaventare i vecchi sistemi sociali dell'ancora arcaica Sicilia degli anni '40, per questo non fu difficile creare la versione ufficiale: "improvvisamente dal monte Pelavet partirono sulla folla in festa numerose raffiche di mitra, che si protrassero per circa un quarto d'ora e lasciarono sul terreno undici morti (otto adulti e tre bambini) e ventisette feriti, di cui alcuni morirono in seguito per le ferite riportate". I dubbi miei e di tanti altri storici e criminologi, non ultimo Nunzio Giangrande: coautore del recente testo "Io c'ero" edito da Dario Flaccovio, vertono sull'impossibilità di uccidere dalla distanza dove si trovava la banda Giuliano.

I bossoli di alcuni dei proiettili  che hanno ucciso e ferito si trovavano a circa 940 metri d'altitudine sul monte Pelavet, invece la posizione degli uomini di Giuliano è stata stimata intorno a 660 metri d'altitudine; i bossoli rinvenuti erano sparsi lungo un raggio di 150 metri a una distanza di 5 metri, stranamente, però, furono ritrovati bossoli anche di armi differenti da quelli in dotazione alla banda.
Secondo la verità "ufficiale" sarebbe state adoperate le seguenti armi: fucile mitragliatore Breda 30 - che sparando da 940 mt. 200 metri sotto avrebbero perso potenza-; Moschetto Carcano 91 - che poteva essere adoperato soltanto da tiratori scelti, e non certo da contadini che a stento riuscivano ad usare una pistola, quali erano gli uomini di Giuliano - e il moschetto americano - arma a corto raggio i cui colpi erano impossibilitati a raggiungere il pianoro sottostante -.  
Se i tiratori avessero sparato sulla folla col mitragliatore Breda 30, da 660 metri avrebbero ucciso centinaia di persone. Quindi, l'ipotesi più accreditata è che ad uccidere siano stati tiratori scelti muniti di moschetto Carcano 91.
Un altro dubbio, nasce dal fatto che tanti sono stati feriti da schegge di granate; nonostante gli uomini di Giuliano avessero anch'essi granate, dalla loro postazione - a 660 metri - era impossibile ferire perché la granata può massimo essere lanciata da 30/40 metri e può uccidere a 5 metri e ferire a 230.
Detto questo, abbiamo modo di credere che oltre alle postazioni sul Pelavet (monte Pizzuta), altri tiratori abbiano sparato sia dal monte Kumeta che da postazioni più vicine alla folla. Quindi è ipotizzabile che gli uomini sul Pelavet - quelli di Giuliano - abbiano soltanto fatto rumore tranne qualcuno che sparò verso qualcuno oltre la folla; verso coloro che hanno sparato per uccidere.
I veri assassini erano posizionati dietro le rocce all'altezza della folla; e, oltre alle granate, disponevano della micidiale mitragliatrice MG42, la caratteristica di tale arma era l'impressionante volume di fuoco che produceva; questo a costo di un complicato montaggio ed uso: per montarla occorrevano sei uomini ben addestrati e per usarla un preparato tiratore scelto, bisognava fare attenzione al pericolosissimo rinculo. Altra controindicazione era la possibilità di poterla usare per brevi sortite per evitare il frequente surriscaldamento; questo spiegherebbe i tempi rapidi della strage. Quanto detto, corrisponde con quanto affermato da parecchi testimoni che, poco prima della strage, videro arrivare un furgone da cui scesero sei uomini.
Chi abbia sparato per uccidere forse non lo sapremo mai, abbiamo modo di credere che non siano stati gli uomini di Giuliano.



Aldilà dei colpevoli, a sconvolgere fortemente è il fatto che 11 persone rimasero uccise e 27 ferite, soltanto per il fatto di essere iscritti o semplicemente simpatizzare per il P.C.I.

Le vittime, a cui va il nostro cordoglio, furono:
Margherita Clesceri (37 anni)
Giorgio Cusenza (42 anni)
Giovanni Megna (18 anni)
Francesco Vicari (22 anni)
Vito Allotta (19 anni)
Serafino Lascari (15 anni)
Filippo Di Salvo (48 anni)
Giuseppe Di Maggio (13 anni)
Castrense Intravaia (18 anni)
Giovanni Grifò (12 anni)

Vincenza La Fata (8 anni)
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