La panificazione


Passiamo adesso alla panificazione, una volta vero e proprio rito. Ma cominciamo dall'inizio, il tutto cominciava nei campi sul finire dell'estate, infatti, in quel periodo il terreno veniva zappato quindi reso "maisi", ovvero pronto per la semina del grano. Fatto ciò, ai primi di novembre si seminava il grano che si mieteva nel giugno successivo.

I "regni" - le spighe mietute - venivano portate all'aia per estrapolare da esse il preziosissimo grano. Ciò, in tempi remoti avveniva attraverso la "pisatina" - il calpestio dei muli o degli asini; in tempi più recenti attraverso la trebbiatura. Ottenuto il grano, lo si portava al mulino e lì reso farina che veniva portata in casa e lì conservata.
Nel giorno della panificazione, che avveniva circa una volta a settimana, le massaie all'alba si destavano, preparavano il quantitativo di farina bastante per la quantità di pane prevista, e con essa si avviavano dal fornaio.
Giunti lì, il fornaio pesava la farina e, in base al peso, assegnava ad ognuno la dose di lievito. Ricevuto il lievito, la massaia impastava la propria farina e preparava i panetti che venivano riposti in appositi tavoli, per farlo "rormiri", ovvero attendere che fosse completata la fase di lievitazione. Giunto a lievitazione, ogni massaia metteva nei panetti, prima che venissero infornati, un segno per successivamente identificarlo: chi una fava, chi un legnetto, chi altro.
Sfornato il pane, ognuna delle donne rintracciava il suo pane, lo metteva nelle "coffe" - ampie ceste - e lo portava a casa.
Anche, ma non solo per questo, grazie al lungo lavoro che serviva per prepararlo, il pane assumeva un valore sacro: non se ne buttava neanche una mollica, e se ne cadeva un po' per terra lo si baciava e lo si mangiava lo stesso; e se qualche bimbo non voleva mangiarlo, le nonne lo rimproveravano dicendo: "mancia ca nno pani c'è u Signuri!"

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