Padre di famiglia; capitolo 1



23 aprile 1997


“DRIIIIN!” 
“Arrivo!... arrivo!...” urlò Jenny cercando di farsi sentire da chi stava suonando il campanello.
Aprì la porta, era il postino: “Salve signora Jones! C’è posta da firmare per suo padre”.
“Un attimo che vado a chiamarlo”. Si avviò verso l’ultima porta in fondo al corridoio e giunta lì aprì. “Papà, c’è posta da firmare” sussurrò. “Firma tu diamine!” Nonno Peter come ogni mattina stava leggendo il giornale nella sua stanza, e non gli piaceva affatto essere disturbato. 
“Non posso, è per te!” 
A questo punto il nonno brontolando prese il bastone, si alzò e comincio ad avanzare. Giunto all’ingresso: “Dove devo firmare?” chiese al postino. 
“Firmi qui Sergente!” rispose lui indicando il punto. Albert conosceva nonno Peter e sapeva quanto tenesse ai suoi gradi militari. Era un reduce della Seconda Guerra Mondiale. 
L’anziano prese la busta e rientrò in camera. “Jenny, vieni qua!” chiamò il nonno dopo un po’. 
Sentita la voce del padre lei si precipitò nella stanza: “Che c’è?” chiese preoccupata.
“Niente di grave!” rispose, capendo che forse l’urlo era stato esagerato; “è una chiamata a presentarmi dal notaio” disse riferendosi al plico.
“Dal notaio! È perché?” 
In quell’istante entro Mary: “Cosa sono queste grida nonno?” 
“Nulla, nulla!” rispose sua madre. “Ha letto la lettera è mi ha chiamato.” 
“È una chiamata dal notaio” riprese il nonno, “mi hanno chiamato per assistere domattina alla lettura del testamento di Frank.” 
“Che brav’uomo che era, è morto già da un anno, non posso crederci!” esclamò Jenny. 
“Davvero! Da bambina quando sapevo che sarebbe venuto a trovarci ero felicissima, mi portava sempre qualcosa” disse Mary. 
“Papà ricordi la prima volta che venne? Non lo hai riconosciuto. Se non ricordo male era l’ottantuno.” “Come se mi ricordo…” 

“Bussano!” esclamò la piccola Mary. “George vai tu!” disse Jenny al marito. 
George si alzò e andò. Tornò poco dopo: “È un certo Francesco, cerca lei Sergente!” George nonostante l’infinito affetto che provava per il suocero preferiva dare il lei per rispetto del reduce, quale nonno Peter era. 
Il Sergente andò alla porta ed aprì – era una sera buia e fredda del New Jersey – si vide davanti un settantenne sconosciuto con accanto un uomo sulla quarantina scuro in volto, più in là un giovane enorme di 1 metro e 90. Il Sergente vedendoli ebbe un po’ paura. Che vogliono questi tre energumeni? Si chiese. 
“Sergente Jones, sono Francesco! Non mi riconosce?” chiese il più anziano. 
“Perché, ci conosciamo?” borbottò un ancora impaurito nonno Peter. 
“Certo che ci conosciamo, come fa a non ricordare? Sono Francesco Venturi di Belmonte, l’ultima volta ci siamo visti nell’aprile ’44 nel porto di Napoli, nei giorni successivi all’eruzione del Vesuvio. Ricorda?” 
“Ora sì! Certo che ti conosco” disse il Sergente abbracciandolo. “Questo è un eroe!” ribattè Peter rivolto al genero che nel frattempo era arrivato. 
“Troppo buono Sergente!” 
“Ma che dici, sei davvero un eroe!” esclamò il Sergente. “Ma entriamo dentro, cosa facciamo ancora fuori!” 
Il giovane entrò chiedendosi perché il Sergente aveva appellato suo nonno come eroe. 
“Jenny, guarda chi c’è!” esclamò Peter entrando in salotto; “Franco, l’eroe del Vesuvio.” 
“Signor Franco, che piacere!” disse Jenny salutandolo. “Mio padre mi ha sempre parlato di lei e del suo gesto eroico.” 
Ma quale gesto? continuava a chiedersi il giovane. 
“Niente di eroico, l’avrebbero fatto tutti” disse Franco. 
“Non fare il modesto Franco, sei stato un grande!” riprese il Sergente. “Scusate, ma cosa ha fatto mio nonno?” chiese Tom, il giovane nipote di Franco. 
“Come? Perché non lo sai?” ribattè Peter. 
“Veramente no!” 
“Franco, ma il ragazzo dice sul serio?” 
“Si! Non l’ho mai raccontato alla mia famiglia.” 
“Ah! Sempre con questa modestia, Franco” esclamò sorpreso il Sergente. “Ora te lo racconto io. Anzi no! Franco raccontaglielo tu.” 
“Tutto ebbe inizio nell’agosto del ’43. La notte del 12 cominciarono forti esplosioni, sembravano i bombardamenti che da poco c’eravamo lasciati alle spalle. 
“Sentimmo delle leggere scosse di terremoto e la lava cominciò a scendere. Però non capivamo che erano avvisaglie dell’imminente catastrofe. Tutto fini lì, eravamo alla fame per la guerra, nessuno pensò più alla montagna. 
"Il giorno dell’epifania, altre scosse ed esplosioni; stavolta la lava arrivò alle porte del paese. Cominciavamo a preoccuparci ed avevamo ragione a farlo; infatti, nel pomeriggio del 18 marzo, ripresero le esplosioni. Un’enorme nube nera si alzò dalla montagna, la lava arrivò a San Sebastiano, tre lingue di fuoco che al loro passaggio inghiottivano tutto…” Franco si fermò. Troppo doloroso il ricordo. 
Continuò il Sergente: “Arrivai in Campania, con lo sbarco di Anzio, il 22 gennaio 1944. Appartenevo al IV Corpo d’armata del maggiore generale Lucas. Dopo dure settimane di lotte contro i tedeschi, io e la mia divisione fummo inviati a Napoli. La città si era già liberata dai tedeschi in seguito alle quattro giornate del settembre ’43. Trovammo una città sconvolta dai bombardamenti, tuttavia i napoletani ci accolsero con gioia. 
“Quella mattina con i miei uomini ci dirigemmo nei paesini alle pendici del Vesuvio. Nel pomeriggio arrivammo a San Sebastiano al Vesuvio impauriti dalla nube vista mentre salivamo in paese. Giunti lì, gli abitanti erano in preda al panico; la lava distruggeva tutto. Un rumore sordo, come di una macina, incuteva uno strano terrore. 
“Scene terribili sconvolsero le nostre anime. Una ci colpì particolarmente: una donna con un bambino gridava a gran voce: «Salvate il nonno! Qualcuno mi aiuti!». La sua casa era tra le fiamme, la lava la stava stritolando e di lì a poco sarebbe caduta su sé stessa. All’improvviso un giovane si lancio all’interno della casa. 
«Fermo!» gridai, «è troppo pericoloso!» Ma niente, non mi ascoltò. “Dopo interminabili minuti, uscì con l’anziano tra le braccia; appena in tempo, perché la casa crollò alle sue spalle. 
“Mi avvicinai e l’aiutai ad adagiare il vecchietto in una branda. Chiesi subito al giovane il proprio nome: «Franco Venuti!» rispose.” 
“Nonno! Sei davvero un eroe” disse Tom abbracciando Franco. 
“Rividi quel soldato americano a Napoli, dove ci avevano condotti, tre giorni dopo” riprese Franco, “quando mi vide mi disse: «Franco, per me sarai sempre un eroe!». 
«Grazie Cummannà!» risposi. 
“Lui riprese: «Franco! Ci vuoi andare in America?». 
“Riflettei un po’, e risposi: «Come volete voi Cummannà!». 
“Mi disse di tornare lì l’indomani. Lo trovai con un biglietto per l’America in mano. 
«Il Saturnia parte domani!» disse abbracciandomi. «Buona fortuna! 
Un giorno sicuramente ci rivedremo.»”

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