Antonino di Ventimiglia C. R., Vicario apostolico del Borneo


Carissimi amici, oggi parleremo del fratello di Francesco Ventimiglia Rossell nonno di Giuseppe Emanuele Ventimiglia, trattasi di don Antonino Ventimiglia chierico regolare dei padri Teatini, egli svolse il suo sacerdozio missionario nel Borneo presso Banjarmasin e lì probabilmente subì il martirio (nelle foto le tappe del suo lungo viaggio).
Don Antonino Ventimiglia nacque da Lorenzo Ventimiglia, conte di Prades e Collesano Maria Filangeri e Beccadelli,a Palermo nel 1642.
Fin dalla più tenera eta, Antonino mostrò subito la sua indole contemplativa e spirituale. Ad undici anni, nel 1653, entrò come novizio nella canonica di San Giuseppe di Palermo dei padri teatini, qui nel 1659 professò, con solenne rito, i voti di chierico regolare.
Sin dai primi tempi del suo stato religioso Antonino concepì l'idea di predicare il Vangelo nelle Indie Orientali: ne fece voto particolare, osteggiato dai familiari.
Nel 1668 Antonino fu a Roma, dove i Teatini avevano la casa generalizia nella chiesa di San Silvestro al Quirinale. I Teatini all'epoca furono incaricati dell'istruzione dei missionari nel collegio di Propaganda Fide; qui Antonino fu in contatto con i primi missionari dell'ordine reduci della Mingrelia e Georgia. Negli stessi anni è documentata la presenza del fratello Girolamo Ventimiglia, che accompagnò Carlo Tomasi nel pellegrinaggio al santuario della Basilica della Santa Casa di Loreto.
La giovinezza chiericale così come tutta la sua vita fu segnata dall'amicizia con Carlo Vincenzo Tomasi di Lampedusa anch'esso Teatino, e con la sua nipote la venerabile Isabella Tomasi, suor Maria Crocifissa; a testimonianza di questo, tra le lettere della Venerabile ne sono state trovate tre a lui indirizzate, in una di queste ricorda l'amico Antonino Ventimiglia, consolandolo per le traversie familiari dovute alla congiura che i Ventimiglia avevano guidato contro la monarchia spagnola, per favorire l'ascesa al trono di Sicilia di Luigi di Borbone, conte di Vermandois. Di questa conosciamo Il contenuto:
Ancora non è giorno Padre carissimo, la luce non compare e noi stiamo all'ombre di questa sua tribolazione; oh! Dio quanto mi affligge, ed oh! quanto ne ha pianto tutto il nostro Monastero, di cui nostro Signore è stato incessantemente pregato, e pur si segue per ottenerne la meritata liberazione, cotanto dovuta alli poveri innocenti, come io credo siano li signori suoi parenti, che il dirmi che sempre sono vissute da santi, a me non è cosa nuova; poiché mio Padre di s. m. era si come suo servo così divulgatore della santità di codesta sua nobilissima Casa, ma altro contrassegno non bisogna per affermarlo che la croce che portano, quale è il signacolo che in fronte tengono li eletti per il Paradiso. Oh! degno tesoro dei grandi del Cielo, questa è la chiave d'oro che introduce a chi la porta alla "provatura" del Re sovrano, disserandogli per una eternità la porta del Cielo, "beati qui lugent", io in questa beatitudine saluto coloro che piangono, in compagnia di cui io mesta sospiro, piangendo le mie colpe causa del suo pianto e delle piaghe di Gesù Cristo, ove lascio V. R. offerendomi incessante, supplichevole per il nostro intento, con che umilmente la riverisco come fanno mia madre e sorelle raccomandandoci tutte ai suoi SS.mi sacrifici.
di V. R., Palma a di 16 aprile 1677
umilissima servitrice
Maria Crocefissa della Concezione
Antonino, successivamente venne mandato a Madrid come maestro dei novizi della casa teatina di Nuestra Señora del Favor, dove era professore e preposito il fratello più giovane, Girolamo Ventimiglia. Nel dicembre 1682, Antonino fu a Salamanca, dove fondò un collegio universitario, con relativa cappella e casa teatina nella Real Clerecìa de San Marcos. Dopo annose lotte per partire missionario, e ripetute richieste al papa, finalmente, nel 1683 ottenne il permesso pontificio per partire alla volta delle Indie.
Ottenuta la destinazione missionaria dal pontefice, temendo nuovi impedimenti, il 13 gennaio 1683 il quarantenne canonico siciliano abbandonò di nascosto la casa teatina e fugge a Lisbona. Qui non trovò una nave atta al viaggio oceanico per le Indie, e s'imbarcò il 25 marzo dello stesso anno su una navicella che gli procurò un lungo viaggio, pieno di incidenti e peripezie, per giungere alla volta di Goa Velha, sulle coste occidentali dell'India. Fin dal 1640 i padri Teatini avevano creato una testa di ponte a Goa, in India, per irraggiarsi successivamente su Golconda e la Costa del Coromandel. Da qui si cominciarono a elaborare i progetti di missione nel mezzogiorno del Borneo, ossia nella regione di Banjarmasin. Lì si svolse la missione di Antonino che fu tra le più audaci e folli; rivolta all'evangelizzazione delle sconosciute popolazioni del centro-sud del Borneo, procedendo in rotta di collisione contro gli interessi mercantili delle compagnie europee e dei sultanati musulmani.
A Banjarmasin negli ultimi decenni del Seicento i Portoghesi di Macao spedivano annualmente un convoglio di navi per commerciare con il locale sovrano. Questi aveva richiesto ai mercanti portoghesi l'installazione di una fattoria o emporio portuale, permettendo la fondazione di una chiesa officiata da un prete cattolico. Ma i mercanti, in grande maggioranza, essendo contrari allo stabilimento di una colonia in Banjarmasin, non trasmisero la richiesta al Capitano generale di Macao. Un mercante, di nome Coutinho, di antica famiglia cavalleresca portoghese e profondamente religioso, trasmise però la richiesta del locale sovrano ai Teatini di Goa, che intesero subito l'occasione di costituire una missione nel Borneo. Dalla casa teatina di Goa partirono dunque delle missive alla volta di Lisbona, alfine di convincere il re del Portogallo dell'utilità di fondare la fattoria di Banjarmasin.
Antonino non attese le autorizzazioni regie: nel maggio del 1687 si volle subito imbarcare in rotta per Macao, insieme a Coutinho, nonostante gli ostacoli frapposti dalle autorità di Goa. Giunto alla meta, nondimeno, il canonico teatino dovette scontrarsi con la dura opposizione dei mercanti portoghesi, poco propensi a far controllare i propri liberi e lucrosi traffici da un'istituzione statale portoghese installata nel porto di Banjarmasin. Il Ventimiglia, senza scoraggiarsi, pensa in alternativa di partire in missione per il Giappone, dove peraltro vigeva uno duro divieto imperiale alla propaganda cattolica.
L'occasione propizia, per finalmente lanciarsi nella tenzone religiosa, il Ventimiglia sembrò coglierla quando viene a conoscenza che un'analoga richiesta, di fondare una fattoria, proviene dal sultano di Sudakana, nel Borneo occidentale. Mentre il teatino cercava di organizzare la sua missione, a Macao giunse inattesa un'ambasceria ufficiale del sultano di Banjamarsin, che convinse il Capitano generale portoghese a far partire con il prossimo convoglio mercantile i funzionari statali incaricati di valutare la situazione.
Antonino s'imbarcò l'11 gennaio 1688 e sbarca nel Borneo il 2 febbraio successivo. A Banjamarsin il Ventimiglia si incontrò con alcuni Dayak Ngaiu dell'interno dell'isola e comprese che la sua missione può essere rivolta soltanto a loro, essendo gli abitanti della costa di fede musulmana. Ma i Portoghesi a maggio obbligarono il teatino a reimbarcarsi e lo ricondussero a Macao.
Antonino non demorse, riprese il mare l'8 gennaio 1689 e giunge nel Borneo al 30 dello stesso mese. Qui, approfittando della guerra scoppiata tra Ngaiu e musulmani, Antonino entrò in contatto con alcuni capi Ngaiu con i quali intavola lunghe trattative. Il Ventimiglia accettò infine di inoltrarsi nelle foreste del Borneo e giunse a prelevarlo e accompagnarlo dai re Dayak una flottiglia fluviale di 25 grandi piroghe con a bordo ottocento guerrieri ngaiu, cacciatori di teste. La squadra che accompagnava il Ventimiglia era formata da un cinese, ex-schiavo liberato da Coutinho, un ex-schiavo ngaiu venduto da mercanti malesi al Ventimiglia e da un marinaio bengalese.
Il 19 giugno 1692 papa Innocenzo XII nominò Antonino vicario apostolico del Borneo. Sorprendentemente nell'isola, che era chiusa agli stranieri, ebbe inizialmente buona accoglienza, in quanto si dimostrò interessato unicamente ai progetti di evangelizzazione, a differenza di molti che vi cercavano ricchezze. Anzi, dai sovrani musulmani gli furono offerte terre e potere, ma lui rifiutò. Tuttavia fu ricevuto con i più alti onori e gli si diede il sommo titolo di tatum.
Riuscì a costruire la prima chiesa sull'isola e a convertire al Cattolicesimo migliaia di abitanti. Tra i miracoli che si narrano intorno all'evangelizzazione del Borneo c'è quello di un uomo, l'unico membro di una famiglia di convertiti che aveva rifiutato di aderire al Cattolicesimo. Poco dopo la morte, tornando brevemente in vita, avrebbe detto che era stato condannato all'inferno per la sua incredulità e avrebbe fornito il recapito esatto del padre Ventimiglia a chi voleva convertirsi: in molti avrebbe creduto e avrebbero ritrovato il padre Ventimiglia nel luogo indicato. Si narra anche che facesse risuscitare un ragazzo per l'insistenza della madre, che minacciava di abbandonare il cristianesimo.
Le conversioni furono molto numerose, stimate in 200.000 persone. Ciò destò la preoccupazione del sultano musulmano di Banjarmasin, che inviò dei sicari per uccidere il padre Ventimiglia, che scampò miracolosamente a diversi attentati. Le circostanze della morte rimasero ignote, in quanto a nessuno straniero dopo di lui fu concesso di sbarcare nell'isola. Si ebbe notizia che il padre era stato sepolto nella chiesa da lui stesso costruita.










 


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