Belmonte nell'unità d'Italia

Dopo la distruzione del paese per mano delle truppe borboniche  del 1848 (per approfondire clicca qui), con l'odio verso Ferdinando II che non era mai stato così alto, cominciò la ricostruzione di Belmonte.
I belmontesi per la ricostruzione delle proprie case non ricevettero  alcun aiuto governativo, quindi, nonostante il "Real" incendio delle campagne, dovettero cavarsela da soli; ottennero soltanto di non pagare tasse. Ciò solamente fino al 1850, quando i belmontesi ancora alla fame dovettero ricominciare a pagare i tributi, per questo da quel giorno Belmonte divenne uno dei principali centri organizzativi della rivolta contro i Borbone. Tale odio cominciò a divenire movimento organizzato nel febbraio 1853, quando furono organizzati convegni a Parco (Altofonte), Belmonte, Mislmeri e Carini volti a preparare la rivolta. Dopo vari tentativi, il momento giusto sembrò essere arrivato il 4 aprile 1860, quando, a suono delle campane del convento palermitano della Gancia, Francesco Riso e i suoi 84 compagni, fra i quali numerosi belmontesi, tentarono con le armi di entrare nella capitale. Il tentativo, anche a causa della scarsa efficacia delle armi dei rivoltosi, falli ma fu il segnale che Garibaldi aspettava ...
Il 1° maggio 1860, dopo aver raggruppato un migliaio di volontari, la maggior parte dei quali del bergamasco, Garibaldi venuto a sapere del fermento rivoluzionario siciliano, diede l'ordine di partire.
Nella notte tra il 4 e il 5 maggio, Garibaldi e i "mille" salparono da Quarto su due piroscafi, il Lombardo e il Piemonte, e, dopo una breve sosta nell'isola di Talamone, l'11 maggio sbarcarono a Marsala. Il 15 maggio i garibaldini si scontrarono a Calatafimi (TR) con le truppe borboniche. Soprattutto a causa della scarsa preparazione degli ufficiali borbonici, che fecero moltissimi errori di strategia; i "mille" vinsero la battaglia e cominciarono ad avanzare verso Palermo.
Nei territori limitrofi a Palermo, cominciarono a sorgere truppe di irregolari a sostegno dei garibaldini. Tali squadriglie erano gestite da La Masa, egli radunò le truppe, forti di 5000 uomini provenienti da Belmonte, Mislmeri, Mezzoiuso, Corleone e altri paesi del circondario,a Gibilrossa. Belmonte Mezzagno, essendo il paese più vicino all'accampamento, servì da base strategica delle operazioni. 
 Il 20 maggio Garibaldi, ormai giunto a Misilmeri, volse alla volta di Belmonte in testa a 6000 uomini, che lo accolse con entusiasmo. Il 24 maggio, nelle campagne di Belmonte si svolse una sanguinosa battaglia fra le truppe borboniche e i garibaldini in gran parte formati da belmontesi. L'esito fu funesto per Garibaldi ma egli non si arrese, aiutato da La Masa il 25 maggio spinse gli avamposti nelle alture di Belmonte e con esse l'indomani sera inizio la discesa verso Palermo. Conquistata la città il 30 maggio, tutta la Sicilia venne rapidamente liberata; infatti, il 28 luglio l'ultimo soldato borbonico lasciò la Sicilia.
Il 21 ottobre 1860, anche a Belmonte si svolse il plebiscito (il referendum) per l'annessione del paese al nascente Regno d'Italia. Chiaramente le votazioni non avevano le garanzie che oggi le contraddistinguono: non era garantita la segretezza del voto, spesso espresso in modo palese con il sì spesso estorto dai signorotti locali con modi assai poco democratici. 
A Belmonte il popolo si espresse favorevolmente all'annessione, più che altro perché credevano che con i piemontesi non avrebbero più avuto fame; queste erano le promesse. Molte di queste purtroppo vennero disattese causando numerose rivolte, la più sanguinosa fu quella del 7 e mezzo del 15 settembre 1866; che in Sicilia causo oltre 25 mila morti.
La fame a Belmonte continuò ancora a lungo e fu la principale causa della partecipazione del paese ai fasci siciliani.


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