Rivolte d'amore; capitolo 3
Quella sera del luglio
1859, Nino rientrò con suo cugino Pino. In casa erano rimasti in
sei, Franca e Concetta da qualche hanno si erano sposate con due
fratelli proprietari di due salme di terra a Mazzarca.
“Sté, domani andrai a
Bagheria con zi Pino a raccogliere pesche!” esclamò Nino.
“Padre, ma domani
dobbiamo portare le pecore alla Cannavata!”
“Tu non ti preoccupare,
mi porterò Titta!”
“Come dite voi sia fatto
padre!”
Nino da qualche tempo
aveva pensato di mandare Stefano a giornata. Troppo
sacrificante e misera la vita del pastore.
Alle quattro del mattino
già Stefano era in groppa alla giumenta dietro gli altri operai, la
carovana era aperta dal mezzadro Pino.
Dopo una cavalcata di
circa due ore, giunsero al feudo Moncheda: dieci salme di
peschi e nespoli con, nella parte bassa, un imponente villa del
settecento.
La raccolta cominciò
dalla parte del pescheto antistante la villa, ai lati della stradina
d’ingresso. Intorno alle otto, lo stalliere preparò il cocchio.
Quando la carrozza fu pronta ai piedi della scalinata, uscirono le
dame: Elisabetta di Mondragone, moglie del conte Moncheda; e la
figlia diciassettenne Rebecca. Sentito il vocio, Stefano alzò gli
occhi verso di loro e vedendola rimase inebriato dalla sua bellezza:
capelli castani chiari con dei riccioli alle estremità, occhi neri
su un volto roseo e luminoso, ed una formosa corporatura. Tutto ciò
rendeva la sua discesa lungo la scalinata di un’eleganza e una
magnificenza sconosciuta al ragazzo. Era arrivata alla carrozza
quando…
“Ehi! Che guardi?”
chiese zi Pino a Stefano, corredando la domanda con un bel colpo di
virga alla schiena.
“Ahi!... Niente sto
guardando...”
“Meglio così… non
guardare là che quella non è roba per te… Torna a lavorare!”
Durante la notte nel
casotto degli operai – avrebbe dormito lì con gli altri ragazzi
tutto il tempo della raccolta – Stefano non riuscì a chiudere
occhio: la vedeva e rivedeva mentre scendeva la scalinata. Nella sua
giovane età, non capiva fino in fondo cosa fosse quella folle voglia
di rivederla, quel vuoto dentro che nasceva al suo pensiero. Capiva
soltanto che era qualcosa di grande, meraviglioso, unico.
Dentro di lui cominciava a
risuonare un canto d’amore: “Mi votu e mi rivotu suspirannu,
passu l’interi notti senza sonnu… e li binnizzi toi vaiu
cuntiplannu…”
Intorno al mezzodì, la
sua cesta si ruppe: “Zi Pì, si è rotta la cesta!”
“Vai a prendertene una
nel casotto!”
Stefano scese a gran
velocità la collina, si trovavano infatti nella parte alta del
feudo. Giunto ormai vicino al magazzino, senti una finestra al
secondo piano che pian piano si apriva: alzò gli occhi e vide
Rebecca affacciata, ella lo gelò con il suo incantevole sguardo.
Una voce da dentro
interruppe l’idillio: “Rebecca dove sei?”
“Qui mamma arrivo!”
La ragazza fece cenno al
giovane di non parlare e di tornare dopo, chiuse le imposte e
scomparve. Il ragazzo, con il cuore trepidante, prese la cesta e si
avvio verso gli altri. Risalendo la collina, pensò che qualsiasi
cosa fosse quel sentimento verso la giovane, era sicuramente
ricambiato.
Finita la giornata di duro
lavoro, mentre ritornavano davanti al casotto per desinare, Stefano
sentì come un fruscio: “Pss… pss…”
Sentito il cenno, il
giovane segui la provenienza della voce che nel frattempo bisbigliò
nuovamente: “Qui… qui…”
Camminando verso quella
voce, passando per una piccola boscaglia, giunse in una zona per lui
sconosciuta del feudo: una piccola fontana zampillava fra delle
piccole statue neoclassiche in marmo bianco che la circondavano.
Stefano, estasiato da quella vista, per un attimo dimenticò la voce
che lì l’aveva attirato.
“Ei qui…” riprese la
misteriosa voce.
Il giovane torno in sé e
per poco non inciampò in una radice, fattosi avanti la vide.
“Ei! Vedi per non cadere
per terra però…” esclamò lei sorridendo.
Lui incredulo la guardò
stranito. Rebecca intuito il suo stupore, si blocco improvvisamente,
non riusciva più a proseguire.
Quella mattina aveva
deciso che avrebbe avvicinato quel giovane che da subito l’aveva
colpita, ancora pensava sorridendo alla vergata che Stefano aveva
beccato per guardarla mentre saliva in carrozza. Ancora non riusciva
a capire perché quella mattina vedendolo si era istintivamente
affacciata. Adesso vedendolo lì davanti a lei, capì che si era
innamorata di quel giovane sconosciuto. L’istinto di dama che
sempre aveva avuto gli suggerì di proporre al ragazzo un baciamano.
Stefano si inginocchiò come davanti ad una visione mistica, prese la
mano candida di Rebecca e fece per baciarla; ma all’improvviso si
udì una voce: “Rebecca dove sei?” Era Nunziatina, la dama di
compagnia della giovane che la chiamava.
“Nunzia arrivò!”
rispose la ragazza, togliendo la mano da quella dell’amato, dicendo
a lui: “Scusa devo andare…”
“Aspetta, non andare…”
“Mi spiace devo proprio
andare… Tieni questo e pensami…” disse lei, dando al giovane il
fazzoletto che teneva nell’altra mano e andando via da lì.
Stefano rimase qualche
minuto in estasi da quell’incontro, dopo poco si riprese. Il cuore
era in frantumi da quella cascata di emozioni, nella mano stringeva
il fazzoletto di lei. Aprendolo lesse le iniziali ricamate di lei: R.
M.
“Sté, stasera no ne hai
fame?” gridò zi Pino.
Sentito questo il ragazzo
corse verso il rancio.
Nunziatina era una donna
sulla quarantina, alta, snella e dai modi aggraziati. Nonostante la
sua davvero bella presenza e la grande eleganza e grazia che la
contraddistingueva, da qualche anno aveva deciso, in seguito a
parecchie delusioni amorose, di lasciar perdere con gli uomini per
dedicarsi pienamente al compito assegnatoci dai conti Moncheda:
dedicarsi alla cura e alla compagnia di Rebecca. Nunzia aveva
accettato con gioia quello che ormai considerava come unico scopo
della sua vita. Voleva un bene infinito alla giovane e avrebbe fatto
di tutto per proteggerla.
Il conte Bartolomeo
Moncheda aveva scelto lei perché era figlia di donna Concetta, serva
stimata da tutta la famiglia. Lei era entrata nella servitù
all’inizio dell’Ottocento come lavapiatti, subito, però, mamma
Grazia – madre del conte – aveva notato le sue doti di
predominanza nei rapporti con gli altri servi. Lentamente aveva
cominciato ad assegnargli via, via compiti di sempre più alta
responsabilità; tutti svolti magnificamente da Concetta. Queste sue
capacità, in pochi anni la portarono a rappresentare mamma Grazia in
tutti i suoi compiti: riusciva a capire la volontà della contessa
senza bisogno di chiedere nulla. Vedendo questo anche il conte
cominciò a fidarsi di lei. Donna Concetta divenne padrona in casa
Moncheda: si occupava lei di tutta la servitù, ma non solo, aveva da
fare anche con i contadini che faceva filare a bacchetta; per
qualsiasi cosa tutti sapevano che dovevano rivolgersi a donna
Concetta.
Quando Concetta, dopo aver
servito i conti fino alla loro morte, morì anch’essa fu un grave
lutto per tutta la famiglia.
Stefano era totalmente
perso d’amor per Rebecca, ma la giovane per quattro giorni non si
fece più vedere. Il ragazzo da qualsiasi punto della tenuta si
trovasse guardava sempre la finestra da dove lei quel giorno si era
affacciata. Ma niente, nessun segno. Stava impazzendo, si chiedeva
continuamente se avesse osato troppo durante quell’incontro, ma non
trovava alcuna pecca. Era esasperato: perché mi ha avvicinato?
continuava a ripetersi, soltanto per farmi impazzire?
All’arrivo di Rebecca,
Nunzia le chiese: “Dov’eri? Da un po’ ti cercavo”.
“Ero andata a fare una
passeggiata.”
“Da sola?”
“Sì, da sola… E con
chi sarei potuta andare?”
Nunziatina che aveva visto
tutto: “Con nessuno… con nessuno…” concluse.
Quella sera Rebecca
cominciò a riflettere su parecchie cose, prima fra tutte quella più
grave; la differenza di ceto con Stefano. Suo padre mai avrebbe
acconsentito a quell’amore verso un contadino sconosciuto. Ma lei
l’amava, e non si sarebbe fermata davanti a niente; al costo di
fare la fine di zio Riccardo: diseredato da suo padre…
Zio Riccardo, fratello di
suo nonno, si era innamorato di una serva e, resistendo alle minacce
di suo padre: l’avrebbe diseredato nominando il fratello minore
legato del fedecommesso, sposò Adelina. Nonostante l’odio di suo
padre pesasse su di lui, sentito della sua morte corse al palazzo del
Cassaro a dare un ultimo saluto al corpo di suo padre. Da allora non
si fece più vedere, si seppe soltanto che visse una vita felice a
Napoli senza i lussi del suo ceto ma con al fianco la sua Adelina e i
quattro frutti del loro amore.
L’indomani Rebecca si
alzo decisa a parlare con sua madre, ma non vi riuscì perché la
contessa si destò presto per preparare i bagagli; e al risveglio
della figlia già non c’era più. Infatti, ma già Rebecca ne era a
conoscenza, anche se era passato nel dimenticatoio, quel giorno sua
madre doveva recarsi a San Lorenzo ai colli dall’ottantenne zia
Maddalena che da qualche tempo aveva cominciato a soffrire d’asma,
per lì rimanere qualche giorno.
Uscita dalla sua stanza,
rimase male non trovandola. Però, mentre faceva colazione, cominciò
a pensare che forse l’assenza della madre non fosse proprio una
tragedia, per una settimana avrebbe avuto un problema in meno per
rivedere Stefano, una persona in meno che gli stava addosso era una
buona consolazione.
Quel primo giorno, passò
tutto tentando di rincontrare il giovane. Ma non ci fu verso,
Nunziatina non gli diede possibilità di provarci; le stette tutta la
giornata alle calcagna, quasi soffocandola. Sperò nell’indomani,
ma niente, stessa pressione; così fu anche nei successivi due
giorni. La mattina del quinto giorno, avendo capito che Nunzia aveva
inteso qualcosa, decise di affrontarla.
Entrata nella stanza della
sua dama, le chiese: “Nunzia, ma perché mi perseguiti? Da tre
giorni non mi lasci muovere!”
“Io! Veramente non mi
sembra. Ti sbagli…”
“Non mi sbaglio! Appena
mi allontano mi sei addosso. Ti ho già detto più volte che non sono
una bambina…”
“Ma cosa dici?”
“Io dico bene…”
Mentre diceva questo, in Rebecca nacque un dubbio: “Ma mi stai
addosso perché hai visto qualcosa…?”
“Qualcosa no, ma
qualcuno si…”
“Lo sapevo, non facciamo
che lo hai detto a mia madre?”
“No, assolutamen…”
“Dirmi cosa?” chiese
la contessa, irrompendo nella stanza.
“Niente mamma…
sciocchezze…”
“Visto qualcosa…
qualcuno… cosa c’era da vedere?” ribattè la contessa.
“Mamma niente… devi
credermi!”
“Rebecca smettila!”
urlò la contessa innervosita, e rivolta a Nunzia chiese: “Dimmi
cos’è successo?”
“Nunzia zitta! Devo
dirglielo io” esclamò Rebecca. “Mamma io, prima che tu andassi
via, volevo dirtelo: tra i contadini arrivati da Belmonte c’è un
giovane…”
“C’è ne sono tanti…
e allora?” chiese la contessa, ormai insospettita.
“Uno di loro…”
riprese la giovane, “si chiama Stefano, ed io…”
“E tu cosa? Diamine…”
“Io… mi sono
innamorata di lui!”
“Cosa? Tu sei pazza…”
“Non sono pazza!”
ribattè Rebecca alzando il tono di voce.
“E invece si…” disse
la contessa, ormai urlando.
“Smettetela… adesso
basta, smettetela di urlare!” Nunzia poteva intromettersi tra
Elisabetta e la figlia grazie alla stima che negli anni si era fatta
agli occhi dei conti. “Cercate di ragionare!” esclamò e rivolta
ad Elisabetta continuò: “Contessa, io ho visto il giovine ed è un
gran bravo ragazzo”.
“E questo cosa c’entra!”
disse la contessa, “può essere il più volenteroso del mondo ma
chi lo dice a Bartolomeo che questa vuole fare la fine di suo zio
Riccardo.”
“Glielo dirai tu,
mamma…”
“Quello che dice Rebecca
e giusto, lo direte voi al conte, e a lui che spetta di decidere.”
“E va bene! faremo come
dite voi…” chiuse la contessa, uscendo e sbattendo la porta.
La sera del quinto giorno,
se la vide davanti mentre rientrava al casotto. Lei lo prese per mano
e lo condusse nei pressi della fontana; Stefano la segui silenzioso
ma col suo giovane cuore in fiamme. Giunti lì, il ragazzo fu il
primo a parlare: “Perché sei scomparsa? Non ho fatto che pensarti…
non capisco cosa mi sta accadendo, non ho mai desiderato la vicinanza
di una persona come ho desiderato la tua…”
“Anche a me è successa
la stessa cosa” cominciò lei, “ma io so già cos’è, mi sono
innamorata di te…”
“Ed io di te, mia
Rebecca. Non lasciarmi più…” continuò lui stringendole forte la
mano.
“Non ti lascio più di
sicuro… Anzi ho parlato di te con mia madre.”
“E cosa ti ha detto?”
Stefano in quei giorni aveva riflettuto a lungo sulla sua condizione,
sarebbe stato difficile essere accettati dai conti: lui era soltanto
un contadino.
“Mi ha detto che parlerà
con mio padre.”
“Sperò che mi
accettino…”
“Ti accetteranno
sicuramente.” La ragazza non era affatto sicura, ma non voleva
scoraggiarlo. “Ci ameremo…”
“Sono sicuro di questo,
mi spiace che per un po’ non potremo più vederci” riprese
Stefano.
“Perché?” chiese
preoccupata lei.
“Perché la raccolta di
pesche è finita.”
“Come finita! Adesso
che… ”
“Domani tornerò a
casa.”
“E come farò senza di
te? … eri l’unica mia via di fuga, seppur immaginaria, da questa
gabbia dorata!”
“E a me non ci pensi?
Ora che sei diventata la mia ragione di vita dobbiamo separarci…”
“Non preoccuparti vita
mia… ci rivedremo presto.”
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