Rivolte d'amore; capitolo 6


Quella sera prima della fuga, Rebecca cenò tranquillamente con i suoi discutendo amabilmente con entrambi, però, mangiò pochissimo; questo, insieme ad un continuo tremolio di un piede, insospettì Nunziatina che capì che qualcosa frullava nella mente della giovane. Altro comportamento strano, fu il coricarsi un po’ prima. Per Nunzia fu la conferma dei suoi sospetti.
Dopo qualche ora che si era coricata, Rebecca sentì aprire molto lentamente la porta. Era Nunzia, la giovane l’aveva immaginato e per questo rimase immobile nel letto, uscita la sua dama dalla stanza, Rebecca sentì il leggerissimo rumore della sedia inclinata su i due piedi posteriori che Nunzia appoggiò alla porta. Era un piccolo stratagemma usato dalla governante per controllare la giovane, lo usava quando Rebecca era piccola per evitare che uscisse dalla sua stanza senza che lei se ne accorgesse. Lei nella stanza di fronte con la porta un po’ aperta, si sentiva più sicura.
Però, Rebecca conosceva questo trucco, quindi aveva trovato i modi per aggirare l’ostacolo.
Sentiti quattro tocchi delle campane della vicina Cattedrale si destò, aprì l’armadio, e in una valigetta, inserì: un pettine; un piccolo specchio; due fazzoletti ricamati e una scatoletta con alcuni suoi affetti. Si avvolse in una mantella nera e si avviò per uscire, spinta la porta, dimenticatasi della sieda dietro sentì che stava per cadere, afferrando la spalliera riuscì a non farla cascare. Piano, piano, spostò la sedia e aprì lentamente la porta e riuscì ad uscire. Una volta fuori, sistemò la sedia per come era e fece per andarsene, prima, però, si avvicinò alla stanza di Nunzia, la porta come previsto era un po’ aperta, lei dormiva. Guardandola, in Rebecca si alzò un velo di malinconia, ma subito riuscì a scacciarlo: non poteva arrendersi adesso…
Uscì fuori che ancora non era l'alba, il primo respiro della libertà fu il più bello: senti la vita entrargli nei polmoni. Finalmente fuori da quella gabbia dorata. Disceso un breve tratto del Cassaro, svolto per il Protonatoro, lo percorse tutto e giunse nella piazzetta dell'Origlione, s'infilò per il vicolo Saladino, e in un balzo fu ai Biscottari. Giunta lì, si fermò mentre arrivava un carro che gli si parò davanti. Il carrettiere la guardò e gli fece cenno di guardare dietro, lei girati gli occhi vide il cassone e si insospettì vedendolo coperto da un pesante drappo nero. I dubbi divennero certezze quando il drappo si alzò leggermente e il viso di Stefano sgusciò fuori, la ragazza, pur col cuore in gola, capì tutto e da dietro salì sul carro e si nascose sotto il drappo. Il carrettiere fatto cenno al cavallo partì da lì.

Tre giorni prima, lasciata Rebecca, Stefano si diresse al Capo dove viveva un giovane che come lui aveva fatto parte dei picciotti di Garibaldi, e che in quell'occasione aveva conosciuto, Luigi il suo nome. Decise di andare da lui perché nell'occasione del loro incontro Luigi gli aveva raccontato di suo padre, vecchio carrettiere del centro storico di Palermo.
Dov'è Luigi?” chiese ad un anziano uomo poggiato ad un muro. Proprio in quella che doveva essere la casa di Luigi.
E tu chi sei? che vuoi da lui?”
Sono un picciotto di Garibaldi come lui, voglio conoscere suo padre!”
Allora ce l'hai davanti!”
Siete voi il carrettiere?”
Cosi dicono...”
Stefano, amico mio!” esclamò Luigi, che sentito il dialogo era sbucato fuori dalla stalla limitrofa alla casa.
Luigi carissimo... vedi che ti ho scovato!” disse stringendolo in un fraterno abbraccio. “Come va con la mano?”
Passato tutto!” Luigi nei combattimenti per la presa di Palermo era stato ferito, per questo non aveva potuto seguire i garibaldini alla conquista della Sicilia.
Qual buon vento ti porta qui? Come è andata la liberazione?”
Ci siamo fatti valere... la Sicilia è presa tutta, il Generale ormai sta veleggiando verso il continente.”
Ottime notizie porti allora giovinotto!” esclamò il carrettiere fino ad allora taciturno. “Cosa possiamo fare per te figlio mio?”
Stefano raccontò del suo amore per la contessina e insieme pianificarono la fuga con la giovane.

Il carretto, cigolando, attraversati i vicoli dell'Albergheria svoltò per la via Nuova, uscì da Porta Vicari e si ritrovò nella campagna. Avanzando per le trazzere giunse al ponte della Guadagna e lì attraversò l'Oreto; continuando ad avanzare giunse a Maredolce; lì, cominciò a risalire verso le pendici del monte Grifone. Giunto lì si fermò.
Siamo arrivati Sté!” esclamò Pino il carrettiere, battendo la grossa mano nel cassone.
Con un salto Stefano fu a terra, a Rebecca invece, stanca del burrascoso viaggio, servì l'aiuto del giovane per scendere.
Mastro Pino, grazie di tutto... mi ricorderò di te per sempre” disse Stefano.
Dovere ragazzo mio, dovere” chiuse lui. E rivolto alla ragazza: “Piacere di averla servita contessina” salutò inchinandosi.
Fatto questo, si mise sul carretto e partì da li.
Scomparso il carro, Rebecca si gettò tra le braccia dell'amato: “Amore mio, vedi cosa ho fatto per te?”
Sei stata fantastica mia gioia. Immensa!” rispose lui, stringendola forte. “Ma purtroppo il viaggio non è finito, dobbiamo cominciare la salita, dobbiamo arrivare prima dell'alba...” Detto questo, cominciarono la scala verso Belmonte.
Arrivarono in paese che suonava la prima messa, arrivati in casa di Stefano, papà Nino andò via subito contrariato dalla scelta scellerata di suo figlio: portarsi a casa la figlia del conte Moncheda... follia pura, continuava a ripetersi.
Entrando, Stefano la condusse al piano di sopra, passando per il pianterreno dove era l'asino, due capre e alcune galline; non c'era altro modo per raggiungerlo. Sopra trovarono mamma Giuseppa che li aspettava.
Lei è Rebecca!” esclamò subito Stefano, presentando la giovanissima innamorata alla madre.
Figlia mia, sono lieta di averti in casa mia e poterti servire... Sei davvero bella come mi ha detto mio figlio...” disse, carezzando dolcemente il viso della giovine.
A palazzo, appena si accorsero dell'assenza della contessina, scoppiò il panico. Nunziatina correva per i lunghi corridoi gridando: “Rebecca dove sei? Rebecca... Rebecca...”
La contessa Elisabetta, alla paura cominciò a mescolare la rabbia: me l'ha combinata grossa quella piccola pazza, se la trovo la chiudo in convento... Andava pensando. Il conte, partito all'alba per i poderi agrigentini, non si accorse dell'assenza della figlia; fortemente.
Assicuratisi che la contessina non c'era veramente, Elisabetta e Nunzia si sedettero esauste. “Dov'è andata? Dov'è?...” continuava a ripetere la contessa.
Elisa, io non so dove si trova ma penso che c'entri quel contadino belmontese...” accennò Nunzia.
Certo... come non ci ho pensato prima... sarà andata con quel pezzente. Stavolta mia figlia me la pagherà cara!” urlò, uscendo da lì, seguita da Nunzia. “Gregorio, andiamo al Mezzagno!” continuò rivolta al faccendiere, “Avvisa gli stallieri... di corsa... di corsa!”
Da lì, partirono con una carrozza e due uomini a cavallo, ognuno portando con sé un cavallo legato alla loro cavalcatura: la scala per Belmonte era percorribile solo a cavallo.
Rebecca cominciava lentamente a rendersi conto di ciò che aveva fatto: era davvero fuggita da casa, con e per Stefano. Sentiva di trovarsi nel posto giusto per lei: lì, in quella stanza umile fornita solo di un letto – fatto di un materasso in crine disteso su trespiti e assi di legno – una sedia e un crocifisso al muro. Lei, nonostante capisse di trovarsi tra povera gente, lontano dagli agi che la sua condizione gli avrebbe garantito, era lo stesso felice. Aveva il suo Stefano, il resto non le importava.
Mentre era assorta in questi pensieri, sentì un frastuono provenire dalla strada; si affacciò dalla piccola finestra e vide i cavalli. Sconvolta corse verso le scale...
Dov'è mia figlia?” urlò la contessa una volta dentro. Un servo si era fatto aprire quasi buttando giù la porta.
Scusi ma lei chi è?” chiese papà Nino, ritrovando il coraggio perduto quando Rebecca aveva messo piede in casa sua.
Chi sono io?... Dov'è mia figlia le ho già detto?”
In quell'istante, Rebecca apparve dalla porticina delle scale.
Qui sono madre!...” esclamò la giovane, senza muoversi da lì.
Vieni... andiamo a casa...” replicò la contessa.
Stranamente, Rebecca rimase immobile dov'era.
Ti ho detto andiamo...” Vedendo che sua figlia non si muoveva, Gli andò incontro per afferrarla. “Ti ho detto andiamo, ingrat...”
No! Contessa così non si fa...!” urlò Stefano, fino ad allora rimasto taciturno, stendendo il suo vigoroso braccio verso di lei e riuscendo a bloccarla. “Adesso decide sua figlia!”
Lei non decide proprio nulla, lei viene con me... lasciami maledetto” gridò, tentando di liberarsi. Ma la morsa di Stefano continuava a bloccarla. “E va bene... decida purè lei!” riprese la contessa, ricomponendosi.
Rebecca, vedi com'è comprensiva tua madre?” chiese ironicamente il giovane, “lascia decidere te... Che vuoi fare? vai o rimani?”
Rebecca attenta a te!” ribatté la contessa.
Contessa, lasci decidere lei...” disse mamma Giuseppa, avendo intuito l'amore immenso che la contessina provava per suo figlio.
Io rimango qui!” esclamò Rebecca più decisa che mai.
Cosa hai detto? Tu sei pazza, sei pazza!...” urlò la madre.
Rebecca andiamo a casa” disse Nunziatina, capendo che Elisabetta non sarebbe riuscita a convincere la giovane innamorata.
No! Non vengo...” ribatté decisa lei.
In quel momento, Nunzia, conoscendo il carattere irremovibile di Rebecca, capì che tutto sarebbe stato vano. Rebecca non sarebbe più tornata con loro.
Rebecca, l'ultima volta te lo ripeto... Vieni a casa, subito! Se rimani qui sarai diseredata, perderai il nome, il titolo e le ricchezze che ti spettano... Allora?” chiese sua madre, perdendo totalmente la pazienza.
Senza Stefano non so che farmene di tutto quello che hai detto!”
Sentendo queste parole Elisabetta montò su tutte le furie: “Va bene, come vuoi tu! ma dimenticati il mio viso, non mi vedrai mai più...” Detto questo, uscì furiosa da lì lasciando il paese.
Appena sua madre se ne andò, Rebecca abbracciò Stefano e si ciolse in un pianto inarrestabile.
Quella notte, Rebecca non chiuse occhio: troppa era la tensione accumulata in quella giornata. Da un lato sentiva la mancanza della madre, consapevole che non l'avrebbe mai più rivista; dall'altro – più forte della malinconia – era orgogliosa di essere riuscita a vincere sua madre e a rimanere accanto all'amato.
Stefano, prima di prendere Rebecca, aveva pianificato tutto: fino al matrimonio non avrebbe toccato la giovane; la celebrazione si sarebbe svolta nel giorno di domenica, il giovane non tollerava l'idea di sposarla in sordina, come era creanza in quel caso. La sua Rebecca si sarebbe sposata inviolata e pura come il rango di contessa comandava.
E venne il giorno del si...
Mentre i futuri sposi entravano in Chiesa, gli astanti in piazza furono colpiti dall'arrivo di due donne, una di loro di sicuro nobile rango, scortate da cinque uomini. Una delle donne, coperta da una velata nera, salì la scalinata ed entrò nel Tempio. Segnatasi, si fermò in un angolo in fondo alla Chiesa. Appena Rebecca pronunciò il sì, la dama velata uscì dalla Chiesa e scese rapidamente la scalinata; giunta alla base, salì in groppa alla cavalcatura e, con il resto della compagnia già in sella, scomparve da lì.

Per leggere il quinto capitolo clicca qui
Per leggere il settimo capitolo clicca qui

Commenti

Post popolari in questo blog

Antonio Ventimiglia conte di Collesano

Laura Sciascia

Adelasia del Vasto, la regina madre del regno