Rivolte d'amore; capitolo 7


14/03/1861
Presidente!!... ma che hanno in testa sti savoiardi?... Il debito lo abbiamo fatto per aiutare Garibaldi e dobbiamo pagarlo noi?...” gridò un uomo, mentre nel salone parrocchiale infuriava il dibattito della seduta del primo consiglio comunale dopo l'annessione.
Qualcuno queste 624 onze deve pur pagarle?” rispose il presidente.
Noi non pagheremo nulla! …” risposero dalla folla, “cosa daremo da mangiare ai nostri figli?...”
Figlioli, calmatevi... ascoltate!” irruppe padre Angelo, “questi pover'uomini non hanno di che sfamarsi; come faranno a pagare quest'iniquo balzello?”
E lei cosa dice di fare?” chiese il presidente.
Io consiglio di far pagare il debito a chi può pagarlo: i possidenti, i proprietari terrieri...”
Sentito questo, il dottor Del Grosso – consigliere comunale – prese la parola: “Sentite! Se siete d'accordo io farei pagare chi possiede almeno tre tummini di terra, 250 pecore o 20 vacche...”
Va bene dottore, votiamo!” esclamò il presidente, che già no ne poteva più. “Cancelliere, ai voti: votiamo la risoluzione Del Grosso!”
I favorevoli furono sei i contrari tre: il consiglio approvò.
Uscito dal salone parrocchiale, lì si era tenuta la seduta, Stefano vide venire incontro a lui la sorella Rosa correndo: “Stè... sta nasc... endo...” disse col fiatone.
Madonna santa...!” esclamò Stefano, cominciando a correre verso casa. Arrivato, corse lungo le scale; mentre saliva senti il primo vagito di suo figlio.
Ch'è successo?” domandò, giunto sopra.
E' nato Sté, guarda ch'è bello!” esclamò mamma Giuseppa, mostrandogli il nascituro: un bellissimo bambino di carnagione chiara.
Guardandolo si commosse e si voltò verso Rebecca, esausta. “Hai visto cosa hai fatto?” chiese a lei baciandola in fronte. “E' bellissimo... bellissimo... Ti amo da impazzire...”
Anch'io ti amo...” bisbigliò Rebecca con un filo di voce.
Ad inasprire il già teso rapporto tra i belmontesi è Torino, arrivò la chiamata alla leva dei nati nel 1840 Giovanbattista compreso.
Rebecca ma che dici?” chiese papà Nino preoccupatissimo.
Gnorpadre mi dispiace, ma c'è scritto quello che le ho detto... gliela rileggo: Giovanbattista Cascio di anni 21, il 15 del corrente mese deve presentarsi al porto di Palermo per partire alla volta di Napoli e da lì per Torino, per ivi adempiere agli obblighi militari come stabilito dalla legge n. 63 del 30 giugno 1861. La durata di tale obbligo è fissata in anni cinque.” La lettera venne letta dalla giovane nuora perché era l'unica ad avere la littra.
Titta era pietrificato, soltanto papà Nino sembrava avere la forza di reagire: “Uno campa un figlio ventuno anni per darlo a loro, ma poi cinque anni... E poi dov'è sta Torino, dov'è?”
Padre calmatevi...” irruppe Titta, più spaventato di lui ma deciso a tranquillizzare suo padre, “non mi succederà nulla, e poi è la legge.”
Ma che legge e legge” riprese Nino, “ma lo capisci che vai a rischiare la vita per loro: I Savoia! Ve lo dicevo che con loro sarebbe stato peggio...”
Tant'è, tra le grida di suo padre, e le preghiere di sua madre e sua moglie, il 15 luglio Titta partì alla volta di Torino.

Io voglio portarglielo!” ribadì un giorno Rebecca.
Ancora lo ripeti?... ma non ricordi come ti disprezzò allora?...”
Lo ricordo benissimo, ma è sempre mia madre... deve conoscere mio figlio...”
Lascia perdere, ti disprezzerà ancora.”
Va bene, come vuoi tu...” chiuse lei, ma la sua mente già aveva pianificato.
Quella mattina, approfittando dell'assenza del marito – da due settimane alla Cannavata con le pecore – mise in azione il suo piano: all'alba si alzò, preparò il piccolo fagotto e, dicendo a mamma Giuseppa che andava a messa, uscì di casa. Invece di andare in Chiesa, però, cominciò a salire per la Giarritedda; giunta alla Portella di Palermo iniziò a scendere per la scala.
Giunta ai Chiavelli stremata, si fermò: era senza fiato. Una donna un po' aldilà con gli anni si accorse di questa giovane forestiera con questo bimbo tra le braccia, e gli si avvicinò: “Dove vai figlia mia?”
Sto andando... in città...” rispose Rebecca ansimando.
Sei stanchissima, entra, riposati un po'...” disse l'anziana, prendendola per il braccio e accompagnandola dentro casa. “Siediti” continuò porgendole una sedia, e dandole un po' d'acqua: “Bevi, riprenditi”.
La ringrazio per le sue premure madre santa.”
Niente, niente... piuttosto dove vai sola con questa mattinata, con questo piccolo?” La donna guardando la giovane, ma soprattutto ascoltando il suo elegante modo di parlare, aveva capito che quella era una donna di sangue nobile e per questo incuriosita aveva posto tale domanda.
Madre mia la storia è lunga e complicata, le dico soltanto che vengo da Belmonte e sto andando al Cassaro a far conoscere questo dono di Dio a mia madr...” A quel punto la giovane si commosse e non riuscì più a proseguire. L'anziana donna, vedendo tale accoramento si guardò dal porre altre domande. “Aspettami qui un attimo!” disse alla giovane uscendo. Si era posta l'obiettivo di aiutarla.
Torno poco dopo: “Figlia mia purtroppo se ne sono andati” disse rattristata.
Ma chi? chi se ne andato?...” chiese Rebecca.
Avevo pensato di farti accompagnare da mio nipote Paolo che, con la moglie Luigia, ogni giorno scende al Capo col carro per andare a vendere pesche.”
Madre mia non doveva, non c'era bisogno... Anzi vado!” esclamò alzandosi, ormai pronta ad andare.
Facciamo così...” riprese l'anziana, intenzionata a non demordere, “se devi tornare oggi stesso in paese, quando ti sbrighi vai al loro banco del mercato e gli dici che ti manda zia Menica e che devi tornare con loro ai Chiavelli.”
Madre santa, la ringrazio con tutto il cuore!”
Niente, Dio mi ricompenserà!”
Sicuramente...” chiuse Rebecca, uscendo da lì.
Avanzando a piedi verso Palermo, spesso Rebecca dovette fermarsi: il caldo era tanto fin dalla mattina, l'afoso tipico dell'estate siciliano. Intorno alle 11, dopo circa due ore di cammino, la giovane arrivò in vista del Palazzo Moncheda. Prima di avvicinarsi troppo si fermò un attimo per riposare e sistemare un po' il bambino e se stessa, ed anche per prepararsi emotivamente all'incontro con i suoi genitori: non sapeva come l'avrebbero accolta.
Giunta vicino al portone, Nunzia la vide dalla finestra e col cuore in gola scese velocemente le scale. Rebecca, arrivata sulla soglia d'ingresso, venne bloccata da un lacché – era uno nuovo, la giovane non l'aveva mai visto. “Lei chi è?” chiese lo sconosciuto.
Cosa... chi sono io?... ma che sta dicendo?...” balbettò Rebecca, incredula di quella domanda. Comunque fattasi coraggio fece per rispondere, “Io sono Reb,,,”
Rebecca... Rebecca mia...” disse Nunzia correndo verso di lei, “e questo bimbo?... non dirmi che è tuo!” esclamò arrivata da lei baciando il piccolo.
Mio è... mio, si chiama Antonino!”
Bellissimo, bellissimo davvero... Ma vieni entra.”
No!” esclamò il lacché, “se non l'annuncio alla contessa non entra nessuno!”
Ma è sua figlia!...” ribatté Nunzia.
Appunto, la contessa mi ha raccomandato di annunciarle l'eventuale venuta di sua figlia!”
E va bene, mi annunci pure...” chiuse Rebecca.
Da quando sei andata via qua sono diventati tutti pazzi” disse Nunziatina a Rebecca, mentre il lacché andava ad annunciarla.
Torno pochi istanti dopo e disse: “Può entrare!”
Grazie!” esclamò Rebecca con apparente calma, ma dentro la sua anima ribolliva.
Salite nervosamente le scale, con Nunziatina al seguito, Rebecca si diresse nella camera dove sua madre soleva accogliere gli ospiti. Lì infatti la trovo.
Salve!” disse freddamente la contessa. E chiese: “Che vuoi?”
Rebecca, che invece di ricevere parole calde e dolci, magari un abbraccio, come si sarebbe aspettata, si senti porre questa glaciale domanda; rispose: “Niente voglio... sono venuta a farti conoscere mio figlio...” Mentre diceva questo distese le braccia come per porgergli il piccolo. “Antonino si chiama!”
La madre lo guardò a stento. “Bel bambino...” disse soltanto, quasi distrattamente. Nessun segno d'affetto, nessuna parola consolatoria uscì dalla sua bocca.
Dov'è mio padre?” chiese alla madre. Convinta che forse suo padre gli avrebbe potuto trasmettere quell'affetto negato dalla madre.
Non c'è, è uscito...”
Vedendo la totale chiusura da parte di sua madre, Rebecca capì che era meglio andarsene e lasciar perdere...
Allora vado?...”
Come vuoi!” rispose gelida la contessa.
Va bene... Ti saluto madre...” disse baciandola sulla guancia, cercando di nascondere il fuoco che gli bruciava dentro.
Uscita da lì, si precipitò lungo le scale; Nunzia la seguì, riuscendo a raggiungerla quando era già quasi al portone. “Ferma!” gridò afferrandola per un braccio. “Rebecca... ti chiedo scusa per il comportamento di tua madre... non capisco cosa le ha preso... Io ti voglio bene e sicuramente anche lei.”
Tu Nunzia non devi chiedermi scusa per lei... so che tu mi vuoi un gran bene, ma ho capito che qui sono ormai di troppo. Ciao!” chiuse scappando via.
Si fermò dietro l'angolo lasciandosi andare ad un pianto amaro. Sentendo il pianto di sua madre, anche il piccolo Antonino cominciò a piangere. Ripresasi poco dopo, ebbe il suo ben da fare per calmare il bambino. Quando il piccolo smise di piangere, Rebecca si diresse al mercato del Capo...

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