Rivolte d'amore; parte seconda; capitolo 8


L'odio verso Torino raggiunse l'apice nel settembre 1866...
Assalto!” gridò Riolo, da tutti visto come capopopolo.
All'improvviso le balle di paglia che ostruivano il passaggio della gendarmeria italiana vennero date alle fiamme, e una folla inferocita di contadini e operai belmontesi scese da Petrosino e da Chiusa d'Elia verso valle, con forconi, zappe e vanghe e si gettò verso le guardie senza paura convinti di scacciarli.
I gendarmi non ebbero nemmeno il tempo di caricare gli schioppi, i villani cominciarono subito a colpire con inaudita violenza. Colta di sorpresa la brigata stava per perire sotto i colpi dei belmontesi. Vedendo questo, il tenente ordinò urlando: “Ritirata!... ritirata!...”
I gendarmi, impauriti e confusi, riuscirono a liberarsi dalla morsa dei paesani e si diedero alla fuga abbandonando armi e munizioni, prontamente raccolte dai villani.
Fratelli! ora verso Palermo!...” gridò Riolo.
Si!... a morte i padroni!...” urlò Matteo Cascio.
Risalendo dalla Giaritedda si gettarono per la scala verso Palermo.
La rivolta apparentemente divampò in seguito all'insostenibile pressione fiscale e all'asfissiante stato di polizia instaurato dai piemontesi. In realtà, nascondeva l'intenzione di restaurare un governo filo-borbonico perché la monarchia sabauda vedeva nel meridione una terra da occupare o poco più. Infatti, la rivolta aveva insignito a proprio capo politico un autorevole personaggio di provata fede borbonica: il principe Bonanno di Linguaglossa.
Matteo la sera prima dell'assalto dei belmontesi, aveva cercato di convincere i suoi fratelli Titta e Stefano, titubanti all'azione, a partecipare alla rivolta.
Siete due vili!... tu Titta, dopo cinque anni della tua vita buttati per la leva, non hai il coraggio di ribellarti a coloro che ti hanno costretto a perderli...”
Matteo cerca di capire...” cercava di calmarlo Stefano, ma niente il ragazzo era un fiume in piena: “Ma che cerca di capire!... ma poi parli tu che sei più vile di lui... il garibaldino...”
Matteo smettila!” irruppe Titta, “io ho tre figli e Stefano due, non possiamo perderci in queste avventure!”
E voi per i vostri figli dovete farlo, volete che crescano schiavi di Torino?”
Non puoi capire...” disse Stefano.
Fate come volete codardi!” chiuse Matteo, uscendo e sbattendo la porta innervosito.
I fratelli maggiori di Matteo non avevano tutti i torti nel non voler partecipare alla rivolta, non perché non fossero legittime le motivazioni della stessa, ma perché la rivolta, come quasi sempre accadeva, si chiuse dopo sette giorni senza raggiungere gli scopi prefissati. Infatti, al grido disperato dei centomila contadini della Conca d'Oro e dei paesi circostanti, che chiedevano una maggiore giustizia sociale, la borghesia rispose tiepidamente facendo fallire miseramente l'insurrezione.
Durissima la vendetta piemontese: 40 mila soldati furono mandati in Sicilia in seguito alla dichiarazione di stato d'assedio dell'isola. Le vittime tra i popolani furono circa 25 mila: strage...

Ginevra, la piccola figlia di Stefano di quattro anni, una mattina cominciò a vomitare.
Stefano corri dal dottore e portalo subito qui!...” esclamò Rebecca, assai impaurita. “Figlia mia, Ginevra che hai?...”
Sto male... sto male, aiutatemi...”
Sta arrivando il dottore, stai tranquilla...” Mentre diceva questo vide che il colorito della piccola si faceva verdognolo, improvvisa arrivò la prima devastante scarica di dissenteria, immediata la seconda, la terza, la quarta...
Mamma che mi succede, aiutami... aiutami...”
In quell'istante entrò il medico, vedendo il colorito, toccando la pelle gelida e constatando le scariche inarrestabili, capì subito di cosa si trattasse,
Cos'ha dottore? Mi dica cos'ha...” chiese supplicante Rebecca.
Purtroppo... è... si tratta...”
Parli dottore... parli, la prego!” gridò Stefano.
Colera, purtroppo colera...”
O Dio è tornato!” esclamò mamma Giuseppa, nel frattempo accorsa. Il colera aveva già colpito quella famiglia: l'anno prima aveva ucciso Salvatore, marito di sua figlia Concetta, lasciandola vedova con tre figli piccoli d'accudire.
Madonna santa... no... Madonna santa... Madonna santa!...” cominciò ad urlare Rebecca.
Non fare così... calmati!” ribatté Stefano, cercando di rassicurarla.
Come faccio a calmarmi?... come faccio?...”
Devi farlo, non gridare!”
Figlia mia calmati...” disse Giuseppa.
Mamma... ho sete...” mormorò Ginevra.
Si, gioia!” esclamò Rebecca, smettendo per un attimo di piangere.
Dottore che si può fare?” chiese disperato Stefano.
Poco Stefano... per la piccola poco...” rispose il medico, trascinandolo lontano dal giaciglio della piccola, “state attenti a voi piuttosto. Non avvicinatevi troppo a lei, e se dovete proprio farlo, sempre con un fazzoletto davanti. E' assai contagioso...”
Sentendo queste parole, Stefano si senti trafitto da mille lame...

La piccola bara uscì dalla Chiesa in una gelida mattina invernale: cielo cupo, pioggia ed un forte vento che sferzava gagliardo. Per raggiungere il piccolo cimitero delle anime sante, due operai dovettero prima creare un solco nel manto di neve che copriva la strada.
Quando la bara venne coperta completamente di terra, il buio nel cuore di Stefano e Rebecca fu totale... non avrebbero più rivisto la propria figlia. Non c'era stato modo di salvarla. Adesso come ridare un senso alla vita? Non tanto per loro ma per il piccolo Antonino e per la creatura che stava crescendo nel grembo di Rebecca...

Salvatore era venuto a mancare nell'estate del '65 lasciando Concetta nella più totale disperazione: tre figli piccoli ed una casa che sembrò gli fosse piombata nelle nude spalle; ma in qualche modo per amore dei figli bisognava pur ricominciare...
Quella sera a casa Cascio sentirono bussare alla porta: “Buona sera don Antonino!” disse l'ospite, appena gli aprirono.
Gaspare, cosa ti porta?” chiese Nino, “ma entra, entra pure...”
Donna Giuseppa, i miei ossequi!” esclamò Gaspare, rivolto a Giuseppa che con la figlia Rosa era impegnata nel buchino.
Gaspare era un uomo sulla trentina alto e scuro con due grandi mani da instancabile lavoratore. Nino lo conosceva da sempre dato che era figlio di sua cugina Giovanna.
Don Antonino, intanto le porgo le mie condoglianze per la scomparsa di sua nipote, purtroppo questo male non si ferma davanti a niente e nessuno. Si è portato anche la mia cara moglie lo scorso anno... Ah che pena quelle mie due figlie senza madre!...” disse asciugandosi con la mano una lacrima che dagli occhi gli sgorgò.
Purtroppo niente possiamo fare!” esclamò Nino. “anche mia figlia Concetta ha perso il marito, come sai.”
Eh sì, che pena... che pena” ribatté Gaspare, contento di essere riuscito a indirizzare il discorso verso gli argomenti che lo interessavano. “Sarà difficile anche per lei, poverina... tre figli d'accudire senza un uomo in casa...”
Eh sì...” riprese Nino, “fortuna che i suoceri le hanno lasciato la casa dove viveva, se no ancora peggio... qui già siamo quattro qui e Stefano sopra, per accasarlo ho dovuto trovare un posto per l'asino per sistemarci qui. Se non era per i quelle sante persone non so come avrebbe fatto, povera figlia...”
Don Antonino, io sono venuto per parlare di sua figlia...”
Di Concetta? E perché?”
Don Antonino, come le dicevo le mie figlie senza madre, i suoi senza padre...”
Gaspare che intendi? Parla chiaramente!” disse Nino alzando il tono di voce.
Giuseppa, che da un pezzo aveva capito dove Gaspare sarebbe andato a parare, per sentire meglio si avvicino con la scusa di ravvivare il fuoco che ardeva nel braciere.
Don Antonino, io, se vuoi l'avete a piacere, vorrei sposare vostra figlia!”
Nino, a tali parole, sembrò rabbuiarsi in viso, ciò preoccupo parecchio Gaspare. Nino stette in silenzio e dopo qualche secondo proferì parola: “Gaspare, sono contento della tua proposta e potrei anche essere d'accordo, però... insomma... vorrei sapere... sai mia figlia...”
Don Antonino chiedete, chiedete purè... che volete sapere?”
Mia figlia ha tre figli e quindi mi servono garanzie: quanta terra possiedi?”
Io ho una salma di terra a Montagnoli, mezza la semino a grano, l'altra mezza: 5 tummini a frutteto e 3 a coltivazione. Pianto e raccolgo tutto quello che Dio ha creato...”
Gaspare sei un brav'uomo... mia figlia non può sperare di meglio. Dammi la mano figlio mio...”
Grazie don Antonino... grazie assai...” cominciò a dire Gaspare stringendogli forte la mano.
Concetta accetto di buon grado il matrimonio con Gaspare, era un brav'uomo, un gran lavoratore e aveva amato tantissimo sua moglie. La sua felicità deriva anche dal fatto che un uomo era indispensabile per reggere la sua casa e sfamare i suoi tre figli.


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