Interviste

In questa pagina ripropongo le interviste
ad alcuni siciliani d'eccezione:


Mario Biondi
Oggi propongo una breve intervista a Mario Biondi,
interprete dalla voce unica e dalle forse poco note origini siciliane.







In che modo ti ha influenzato tuo padre, Stefano Biondi, nella scelta di fare il cantante?

Mio padre era un passionale ed era innamorato della musica, l'ascoltavamo tutti i giorni e cantavamo spesso insieme, mio padre è il motivo per il quale ho imparato ad amarla.

Quando hai scoperto la l'unicità della tua voce?

Giorno dopo giorno, anno dopo anno ho imparato a conoscermi e a conoscere la mia voce, è stato un percorso lungo e impegnativo.

Spesso hai dichiarato di sentirti cittadino del Mondo. Come combini questo con le tue radici siciliane?

La Sicilia è un piccolo mondo pieno di differenze, luci e ombre. 


Grazie mille.


Ringrazio Mario e il suo management, nella persona di Marta Tagliabue, per la disponibilità.

Giorgio Chinnici

Oggi vi propongo un'intervista all'ingegnere elettronico d'origine Belmontese Giorgio Chinnici.

Autore di vari libri, l'ultimo dei quali è il saggio "Turing l'enigma di un genio".

Che ricordi hai della tua giovinezza vissuta in Sicilia?


Ho fatto la terza e quarta elementare a Belmonte. Ho fatto in tempo a vedere un mondo di ieri che non esiste più, e lo considero un privilegio. Un mondo agricolo chiuso in sé stesso ma dai valori sani. "U paìsi" era il mondo di questi uomini che andavano la mattina in campagna a piedi o dorso di mulo e tornavano la sera con i frutti del loro lavoro.

Ricordo quelle porte sempre aperte sulla strada di terriccio rosso, il fuoco dei camini, le botti di vino, l'uva accatastata in enormi cesti; gli anziani che alla sera, attorniati da noi bambini, raccontavano i "cunti", magari mentre sbucciavano fichi d'india da distribuire a tutti.

Che percorso di studi hai seguito per riuscire a svolgere la tua professione?Da piccolo ho fatto l'ingegnere e da grande ho fatto il fisico.

Al di là di questa battuta, che faccio sempre, le cose sono andate così: dopo il Liceo Cannizzaro a Palermo, benché la mia grande passione fosse la Fisica, mi sono iscritto a Ingegneria Elettronica, sostanzialmente perché così facevano i miei amici.

Dopo la laurea mi sono trasferito a Milano, e di fatto ho sempre lavorato al CESI (Centro Elettrotecnico Sperimentale Italiano), dove in tutti questi anni ho svolto svariate funzioni. Sono stato anche due anni distaccato presso la nostra sede a Mannheim in Germania, da dove sono rientrato da pochi mesi.
Ma la grande passione per la Fisica pura che covava sotto la cenere a un certo punto è prepotentemente saltata fuori. Per me si tratta di un interesse filosofico fondamentale, in quanto questa disciplina permette di avvicinarsi alla comprensione della natura e dei suoi meccanismi, e di concetti sui quali l'uomo da sempre si è interrogato, come lo spazio e il tempo. Allora, da adulto lavoratore e con famiglia, ho deciso di dedicarmici seriamente e mi sono laureato in Fisica all'Università Statale di Milano.
Le riflessioni che ho iniziato durante i miei studi mi hanno poi portato a scrivere i miei libri.


Come è nata la tua passione per gli scacchi?

È nata, o per meglio dire è esplosa, nell'estate del 1972. Avevo 14 anni, e gli scacchi vennero portati improvvisamente alla ribalta di tutti i mezzi di informazione per via del match di campionato del mondo tra l'americano Bobby Fischer e il russo Boris Spassky. Giornali, radio, televisione, riportavano giornalmente le notizie sul match del secolo: in piena guerra fredda faceva molto scalpore questo scontro tra un americano solitario e individualista e il rappresentante della perfetta macchina scacchistica collettiva sovietica che voleva dimostrare al mondo la sua superiorità. Fischer vinse il match diventando il primo campione del mondo non sovietico del dopoguerra.
Come moltissimi della mia generazione, io scacchisticamente sono figlio di Fischer-Spassky.


Hai appena pubblicato un saggio su Alan Turing, quanto ha inciso il suo lavoro come crittografo nella vittoria alleata della Seconda Guerra Mondiale?


Ha inciso moltissimo. Come racconto nel mio libro, Turing fu una della figure più determinanti di Bletchley Park, il segretissimo servizio crittografico del governo britannico, dove tra le altre cose si lavorava alla decifrazione dei messaggi che i nazisti crittografavano con la loro macchina Enigma.

Lo storico Sir Francis Harry Hinsley, uno dei criptoanalisti che ci lavorarono, affermò in un suo libro del 1996 che Ultra, nome in codice dato alle informazioni ottenute da Bletchley Park, abbreviò la guerra da due anni a quattro anni.

Alan Turing fu determinante per la decifrazione di Enigma, soprattutto per quanto riguarda la versione in dotazione alla Kriegsmarine, la Marina Militare del Reich. Questa versione, la più coriacea, era quella utilizzata dagli U-Boot, e la sua decifrazione fu una vittoria contro la guerra sottomarina tedesca nell'Atlantico del Nord: il giudizio di Hinsley è dunque fondato e fu peraltro condiviso anche da Churchill e da Eisenhower. 
Ciao!

Danilo Lo Monaco

Oggi vi propongo un breve colloquio che ho avuto con Danilo Lo Monaco, ragazzo belmontese che da molti anni vive a Milano, dove sta cercando di realizzare i propri sogni.

Parlami un po' di te, di come è nata in te la passione per la danza, e in che modo sei riuscito a raggiungere la scuola che frequenti.

Mi chiamo Danilo Lo Monaco, ho 19 anni e sto frequentando l'ultimo anno dell'Accademia Teatro alla Scala. La mia passione per la danza è iniziata a casa, a Belmonte Mezzagno, dove ho iniziato a studiare danza in una piccola scuola di ballo già all'età di 3 anni. All'età di 6 anni, quando ho iniziato la scuola elementare, i compagni mi guardavano con un'aria strana, perché fare danza era una cosa solamente per le donne e giocare a calcio era l'unica cosa per gli uomini e con estrema ingenuità ho iniziato a giocare a calcio per circa un mese ma alla fine di esso la persona che allenava la squadra ha chiamato mia mamma per dirle che durante le partite non giocavo a calcio ma ballavo. Mia madre sentito ciò mi ha chiesto con estrema sincerità cosa avrei voluto fare da grande e io ho detto di voler fare il ballerino scoppiando in lacrime per paura del giudizio degli altri.  In quei mesi ho iniziato a studiare a Palermo e visto che con il passare degli anni questa passione si affermava sempre di più. All'età di 11 anni, su consiglio della mia insegnante mi sono recato a Milano per fare un'audizione alla scuola di ballo più importante d'Italia e del mondo: l'Accademia Teatro alla Scala. Dopo essere stato scelto tra migliaia di persone mi sono trasferito lì dove dal 2011 vivo e studio. Nel mese di maggio dopo 7 anni concludo questo percorso diplomandomi e diventando quindi ballerino professionista, pronto per entrare nel mondo del lavoro.


A quale ballerino classico ti ispiri?

Ho una stima profonda in tutti i ballerini che sono diventati tali senza l'aiuto di nessuno, è con la sola forza di volontà sono riusciti a coronare il loro sogno.
Un ballerino in particolare a cui mi ispiro è Roberto Bolle, una persona molto semplice e umile nonostante il suo successo in tutto il mondo. Ammiro soprattutto la sua forza di volontà che impiega ogni giorno, per migliorare sempre di più le sue prestazioni.
Una cosa molto importante per un ballerino è sì ispirarsi a qualche figura, è una cosa che tutti fanno, ma bisogna creare in ognuno di noi un’immagine unica e inconfondibile, dunque non basta solamente ricopiare perfettamente la figura da cui si è stati ispirati, ma bisogna altre sì che ognuno di noi sviluppi nel migliore dei modi una propria personalità.

Come si svolge la tua giornata tipo?

La mia giornata inizia alle 8 del mattino con il riscaldamento che un ballerino deve fare ogni giorno per affrontare la giornata; alle 9 inizia la lezione di danza classica che si conclude alle 10.30 circa e a seguire ci sono tutte le altre lezioni come: repertorio, passo a due, contemporaneo etc; a seguire ci sono le prove per preparare gli spettacoli in programma fino alle 15.30 circa.
Alla fine dell'ultima prova bisogna spostarsi dalla scuola di ballo al liceo, perché oltre alla scuola di danza frequento anche un liceo linguistico serale che inizia alle 16 e termina alle 21,20. Quando finisce la scuola devo tornare nel convitto, dove abito con altri ragazzi, e dopo aver cenato devo inoltre studiare per le verifiche del liceo.

Caro Danilo, ti auguro di riuscire a realizzare i tuoi progetti.

Sono sicuro che con la tua caparbietà raggiungerai grandi risultati.

Rocco Chinnici
Propongo un'intervista a Rocco Chinnici, regista teatrale famoso per le sue commedie, ed i suoi presepi viventi.  

Cosa ricordi della tua infanzia belmontese?

Se dovessi riassumere i ricordi, servirebbero migliaia di pagine. I tempi erano quelli che erano, ricchi… si fa per dire, di grandi privazioni che, a raccontarlo alle nuove generazioni, saresti subito considerato un fesso di allora che, come se per tue scelte, amassi vivere quelle situazioni. Ricordo però con grande gioia i giochi che, oltre ad essere salutari, erano anche ricchi di grande socializzazione, cosa che adesso, con questi mezzi tecnologici, tentano a isolare, per fare un esempio: si preferisce messaggiare e parlare al telefonino, mentre di presenza viene difficile anche parlarci. Allora si giocava a “scarricacanali, ammucciareddu, a trentunu, a ssilona, o mazzaroccu… (anche s’era un gioco un po’ pericoloso, ma allora i pericoli facevano parte del nostro essere), acchiappari ‘n tunnu ‘n tunnu a chiesa” e così via; ma la cosa che più mi era caro era quando prima di andare a letto si andava a “vasari a manu e nonnò”, come se aspettavamo quella benedizione serale da quei nonni, allora molto importanti.

Quando hai scoperto la passione per il teatro?
Intanto è da precisare che il Teatro lo amavo già da piccolo, quando in chiesa “’O circolinu” (azione cattolica), guidati da Padre Pizzo prima e da Gino Valentino dopo, si metteva in scena qualche commedia, ed io cercavo, o meglio pregavo che mi assegnassero un ruolo, anche una particina per salire sul palco e provare quella famosa adrenalina che mette in circolo quella ebrezza unica in grado di dare il meglio di noi. Via via, col passare degli anni, mi trovai a scrivere una poesia che, con l’esperienza di adesso, posso dire drammatizzata, e cioè atta a potere essere anche rappresentata, capii che dentro di me c’era questa gran voglia di dar vita a personaggi di varia tinta, dalla prosa leggera, al dramma. In tutte le mie opere, anche se pur in forma di falsa, c’è sempre una denuncia di un male civico, perché se il Teatro, anche quello ilare, non riesce a lasciar dentro un messaggio positivo, è e rimane solo la risata, e ai nostri giorni, anche se ridere aiuta a superare i problemi che assillano, bisogna anche lasciare dentro di ognuno qualcosa che faccia riflettere… mi dispiace vedere invece chi scrive solo per scrivere, io dico sempre che: “Se c’è chi scrive da cani, è perché c’è chi legge da ciuco”; la stessa cosa è il Teatro. Voglio confessarti un particolare per me molto importante e che mi riempi di orgoglio, vi fu un periodo che mi pubblicavano quasi ogni settimana, poesie sul giornale di Sicilia, e il Magistrato, mio omonimo, volle conoscermi per una di esse che lesse con grande interesse… poi mi confessò, e, parlando anche di Teatro, mi suggerì di scrivere qualcosa che riguardasse la mafia, parlammo un po’ di una mezza idea, e dopo qualche tempo scrissi il dramma, fu così bello che ricevetti una medaglia dalla Presidenza della Repubblica, in quanto vinsi il Torneo Applausi, un prestigioso premio Nazionale di teatro.

Secondo te la Sicilia valorizza abbastanza i talenti di cui dispone?
Questa è una domanda un po’ pungente, perché allora dovrei risponderti che “nessuno è profeta nella propria terra”… (almeno ché non si chiami Profeta), per fare un esempio: io vado in giro per l’Italia a fare Presepi Viventi unici nel suo genere, sono scritti da me e depositati finanche alla SIAE, quest’anno, ho già avuto sentore che, molto probabilmente, vincerò il quinto migliore d’Italia a Giuliana, ho già vinto in Campania, Sicilia, Calabria; quest’anno lo metterò in scena ad Avellino, precisamente a Monforte Irpino, sono già andato a fare i dovuti sopralluoghi in quanto invitato dall’Assessore alla Cultura e dalla Pro Loco. Grazie a questi presepi ho già quattro cittadinanze onorarie e sono quasi certo che la quinta arriverà a breve.
Mi auguro che questa risposta riesca a soddisfare la Tua domanda.

Come mai da qualche anno non vivi a Belmonte?
Credo che la risposta leghi molto con la precedente domanda, “cu nesci arrinesci”, a dire il vero io sono uscito a causa di una mentalità da noi un po’ contorta, per fare un esempio, tutti dicevano che io mi facevo i “bagni” anche con i disabili, poiché ho lavorato anche con loro e ho preferito continuare a farmeli in un mare vero e lontano da sconfortanti dicerie, e  Tonnarella, dove adesso vivo con Patrizia (insostituibile compagna e moglie), è il posto ideale che permette di scrivere e trovare l’equilibrio giusto per ispirarmi a nuove opere.
Amo molto il mio paese e i ricordi che ha saputo donarmi, e mi auguro tanto che esso esca dalla crisi economica ma soprattutto da quella “Culturale”.

Giuseppe Traina
Vi propongo una breve intervista

al Capitano pilota dell’aeronautica militare italiana,
dalle note origini belmontesi, Giuseppe Traina.

Dove abiti in questo periodo? In cosa consiste esattamente il tuo lavoro?

Vivo a Wichita Falls, Texas, un paese di circa 100.000 abitanti situato un paio d’ore a nord di Dallas.
Sono Capitano pilota dell’aeronautica militare italiana, ed al momento sono impiegato come istruttore di volo presso ENJJPT (Euro-NATO Joint Jet Pilot Training School), Sheppard Air Force Base.
Nello specifico, istruiamo i cadetti delle varie accademie aeronautiche dei Paesi appartenenti alla NATO
fino a farli diventare piloti militari, la maggior parte dei quali destinati alle linee aerotattiche (piloti da combattimento sui caccia militari). Oltre al volo basico, insegnamo loro diverse tipologie di volo, tra cui volo acrobatico, volo strumentale, volo in formazione (basica ed avanzata) e volo e bassa quota.
Tutto ciò, propedeutico al tipo di impiego a cui saranno sottoposti una volta finito l’addestramento e assegnati ai rispettivi reparti operativi.

Quali studi e che tipo di formazione hai seguito per svolgere il tuo lavoro?

Dopo il diploma di scuola media superiore  (nel mio caso liceo scientifico) sono entrato (dopo una lunga e numerosa selezione) come allievo pilota presso l’accademia aeronautica di Pozzuoli dove ho fatto inizialmente delle lezioni teoriche e pochi mesi dopo il corso di pilotaggio per diventare pilota militare, durato circa un anno e mezzo. Tutto ciò parallelamente all'addestramento militare necessario per prendere la nomina di Ufficiale.

Per te è un peso, o motivo d’orgoglio rappresentare la Sicilia e Belmonte, in giro per il mondo?

Rappresentare l’Italia (e nel mio piccolo, Belmonte) non è mai stato un peso, bensì motivo di orgoglio e soddisfazione.
Anzi, mi sento onorato di avere questa possibilità!
Inoltre, penso che ciò possa essere motivo di orgoglio non solo per me, ma anche per la mia famiglia e tutti gli amici che molto tempo fa ho lasciato a Belmonte per seguire il mio sogno e portare in alto il Tricolore.

Che consigli ti senti di dare, ai giovani che vogliono intraprendere la carriera aereonautica?

Sicuramente chi intende fare questo “lavoro” DEVE essere motivato da una fortissima passione per il volo e per tutto ciò che ne consegue.
Personalmente, dopo quasi 17 anni di esperienza, non riesco ancora a considerarlo un “lavoro”, in quanto è una cosa che giornalmente faccio volentieri e che non è mai stato un peso. Anzi, quando sto troppo tempo “con i piedi per terra” mi manca andare per aria, mi manca il mio “lavoro”!
Volendo dare un consiglio ai giovani che in futuro vorranno intraprendere questa carriera, sicuramente consiglierei di seguire uno stile di vita sano e fare sport fin da giovani, in quanto l’efficienza fisica è alla base sia delle selezioni che del proseguo della carriera. A livello “mentale” invece, oltre alla motivazione di cui parlavo prima, bisogna anche credere in quello che si fa e nei risultati che si vogliono raggiungere. Il percorso non è semplice, ci sono sempre delle difficoltà e delle competizioni da superare.
L’obiettivo finale, assieme ad un po di orgoglio personale, un pizzico di autostima e un impegno costante al 100% delle proprie capacità, devono essere le armi per vincere queste sfide.
Un altro consiglio invece mi sento di darlo alle famiglie, ai genitori (e perché no, anche agli amici) di questi giovani, che devono essere (come lo sono stati per me all’inizio di questa avventura) parte della spinta motivazionale e dell’incoraggiamento a “camminare con i propri piedi”, a non arrendersi di fronte alle difficoltà, ed essere sempre un punto di riferimento presente e futuro con i quali condividere questa esperienza.
Mi sento di dare questo consiglio alle famiglie perché oltre alle difficoltà pratiche che il corso in se comporta, c'è anche la difficoltà (tipica e radicata soprattutto nelle nostre tradizioni belmontesi) di allontanarsi dalla famiglia e lasciare le proprie radici per qualcosa di incerto, almeno inizialmente, ma per il quale vale la pena provare e che alla fine ci farà dire, con orgoglio, “ce l’ho fatta”!

Massimo La Rosa
Oggi vi propongo una breve intervista al siciliano, nonché belmontese d'eccezione Massimo La Rosa.
Trombonista alla Cleveland Orchestra.

Massimo La Rosa si nasce o si diventa? Ovvero quanto conta il talento, e quanto lo studio e la dedizione nella tua professione?

Per rispondere a questa domanda citò un post che qualche giorno fa ho messo nella mia pagina Facebook:

There is not Talent!

Non esiste talento né genialità. Il solo miracolo che esiste e conosco si chiama: sacrificio, dedizione, curiosità, lavoro duro, amore , umiliazione e rinuncia.
A miei figli non dirò mai che tutto accadrà se avranno talento.
Dirò loro che Tutto accadrà se avranno coraggio di dare tutto quello che hanno per diventare ciò che vogliono essere.

Impossibile è solo un’opinione e non è mai stata la mia

Come ben capisci il talento per me conta poco. Si nasce nudi e vuoti siamo noi a vestirci e riempirci per strada di ciò che scegliamo o di ciò che i nostri genitori scelgono per noi.
Potrei parlare di questo per giorni interi. Potrei affrontare qualsiasi contraddizione e credo di vincerla.
La prova? La mia vita. Sudore, pianti, umiliazioni, successi, gioie..etc etc.
Col solo talento non si va lontano. Il lavoro serio, duro, costante può portare persone in posti che appartengono solo al Mondo dei sogni. Come è successo a me.

Nella tua carriera avrai incontrato molti direttori d’orchestra, da chi hai imparato di più?

Io sono una persona che imparo da tutto e da tutti. Imparo da allievi e da colleghi.
Lasciami andare un poco oltre con la mia risposta.

Quando si parla di imparare, sempre
si pensa ad imparare ciò che piace ma si sottovaluta quanto sia importante il rendersi conto dell'azione di riflesso, cioè scoprire ciò che non ci piace.
Per me scoprire ciò che non mi piace è la chiave del mio successo è del mio progresso. Rendermi conto del perché una cosa non mi piace la ritengo una scoperta più importante del sapere ciò che invece mi piace, perché proprio grazie a questo posso risaltare incredibilmente ciò che a me piace.
È questo è il primo passo; poi da qui alla realizzazione del nostro buon gusto e al vincere le brutte abitudini, mi ripeto, ci vuole determinazione e lavoro duro.
Penso che sia così per tutti gli aspetti della vita.
Dal ristrutturare una stanza a costruirti una carriera a cambiare un paese.
Cambi perché una cosa non ti piace oppure perché hai la curiosità di sapere come potrebbe essere diversamente.

Rispondendo nel dettaglio alla tua domanda, certamente la persona che mi ha ispirato e che mi ispira di più e il mio Direttore alla Cleveland Orchestra, Franz Welser Möst. Una persona di grande talento, grande visione e ricco di passione e rispetto per la musica.

Cosa pensano gli statunitensi della Sicilia e dei siciliani?

Incontro molta gente innamorata dell’Italia. Ovunque io vada.
Molti pensano che la Sicilia non appartenga all'Italia. Questo credo per via della grande storia migratoria dei primi anni del secolo scorso, quando probabilmente le persone che arrivavano negli States non sapevano neanche dove si trovavano le altre città italiane. Ma come è rimasta questa idea nello stereotipo così è rimasta l'idea del mangiare in un certo modo. (Pasta con le polpette) per esempio.
La contemporaneità siciliana non è molto conosciuta ma si sta sviluppando.  Poi c'è la parte amara del dire che sei siciliano, cioè essere etichettato come mafioso.
Io per quel che posso ribadisco dicendo che appartengo alla maggioranza dei siciliani, cioè alla gente per bene, ai buoni, ai lavoratori, ai Borsellino e Falcone, ai Don Pino Puglisi, ai Peppino Impastato.
Lo faccio con un senso di responsabilità. Se non io chi lo deve fare? Un milanese? Un Bruno Vespa?

Che consiglio ti senti ti dire ai giovani che hanno intrapreso lo studio della musica?

Ma io gli direi semplicemente che sono fortunati. Imparare musica è una cosa meravigliosa. Ogni forma di arte lo è come ogni mestiere.
Il dolce far nulla lo ritengo amaro come il veleno.

Io sto imparando ad essere padre giorno dopo giorno e ho tre bimbi meravigliosi come la loro mamma che mi stanno insegnando. Ai miei figli farò fare sport e musica. Alessandro il più grande già suona pianoforte e gioca a calcio.
Non credo che questo sia "cool" fammi chiarire, credo fortemente che lo sport aiuta i bimbi a crescere sani ad interagire con altri e ad accettare sconfitte a rispettare chi merita di più, e la musica sviluppi l'intelletto, la creatività, accende passioni arricchisce gli animi li addolcisce e rammollisce al punto di farci piacere e amare tutto un poco di più.
Ai miei studenti dico sempre che quello che conta siamo no, tu, nel singolare. E soprattutto di dare sempre il meglio che hanno.
Nella vita giornaliera si fa sempre quello che si decide di fare, e scegliere di fare una cosa stupida piuttosto che una intelligente e questione di millesimi di secondo, ma le consegue di quel millesimo di secondo possono durare ore, anni, avvolte vite intere. Come quello di accendersi una sigaretta o non accenderla!
Non è quello che si fa ma le conseguenze che contano.
Dico questo in fine: imparate qualcosa di buono e sarete nobili nell'animo.
Siate furbi e svegli ma fate sempre scelte intelligenti.

Ciao


Salvo La Rosa

Oggi vi propongo una breve intervista a Salvo La Rosa, giornalista e conduttore TV d'origine catanese.





Nella tua carriera hai avuto molte richieste dalle reti nazionali, come mai sei rimasto in Sicilia?

Purtroppo non ho una risposta precisa da darti. Ho fatto tante cose, soprattutto in Rai ma anche a Mediaset, e tra queste anche i collegamenti esterni per le edizioni del 2002 e del 2003 del Festival di Sanremo, e devo dire che per me sono stati come degli importantissimi master di perfezionamento, perchè ho imparato tantissimo. Poi, però, non ci sono state altre occasioni. è vero che io non me le sono neanche cercate, però non mi hanno più richiamato. Forse semplicemente cercavano altro e io non andava bene. Ma posso dirti che sono felice di essere rimasto a lavorare nella mia Sicilia e con la mia gente e anche a buoni livelli.

Come hai conosciuto Enrico Guarnieri “Litterio”? La vostra amicizia travalica il palcoscenico?

Con Enrico Guarneri ci siamo conosciuti al Premio Polifemo d'argento, che si svolgeva a Zafferana, Io presentavo e lui quell'anno veniva premiato come personaggio emergente. Quella sera fece una breve esibizione come Litterio e finì tutto lì. Poi qualche tempo dopo ci siamo nuovamente incontrati, tramite il comune amico regista Romano Bernardi: io già conducevo Insieme su Antenna Sicilia e lo invitai al programma. Forse per l'emozione del debutto, ma alla prima puntata le cose andarono così così: poi riprovammo due settimane dopo e questa volta io restai al suo fianco e da quel momento la coppia Litterio-La Rosa fu un successo crescente e continuo e ancora, grazie a Dio, abbiamo un affetto straordinario da parte del pubblico.
Ma Enrico è un attore bravissimo, io dico che lui è un grande Litterio perchè è un grande attore, e quindi con lui è tutto più facile. E poi siamo davvero molto amici anche fuori dal palcoscenico: tra noi c'è amicizia, rispetto e un feeling perfetto. E tutto questo fa bene anche alla coppia artistica.

Cosa manca, se manca qualcosa, al teatro e allo spettacolo siciliano, per essere valutato nel modo che merita?


In Sicilia, nel teatro come nella musica e nell'arte in generale, ci sono talenti straordinarie unici. Purtroppo mancano a volte le occasioni e i mezzi per andare avanti. E, come stiamo vedendo soprattutto con i teatri Siciliani, le Istituzioni sono ormai completamente assenti. Ma io dico ai giovani che non bisogna mai arrendersi e bisogna provarci sempre con passione e tenacia.

Massimo Minutella


Propongo un breve colloquio realizzato con il palermitano Massimo Minutella, dee jay che strizza l'occhio alla TV regionale e nazionale.











Che ricordi hai della Palermo della tua infanzia?

La Palermo della mia infanzia è legata ai ricordi di me e mio fratello gemello cresciuti in un quartiere popolare, Medaglie d'Oro, dove si giocava per strada...lunghissime partite di pallone tra compagni di scuola...le porte erano due grandi sassi e le travi erano immaginarie...
Cresciuto in un quartiere dove dovevi imparare a difenderti per non subire i furti dalle cartelle o rapinati per portarti via le figurine Panini, o il ricordo di grandi palazzi tutti gli stessi con i panni appesi...o il ricordo della Parrocchia dove si andava a servire messa e fare i boy scout...la città era per noi da conquistare attraverso i mezzi pubblici in pieno ritardo e fatiscenti.
Ma era il mio mondo e mi piaceva.

Cosa manca, se manca qualcosa, alla cultura e allo spettacolo siciliano per raggiungere i livelli che merita?

Lo spettacolo e la cultura della nostra terra non ha quello che merita...non ho le soluzioni ma penso che meriterebbe maggiore attenzione.

Quali sono i tuoi progetti futuri? Cosa vuoi fare "da grande"?

Tornerò presto in tv con la decima edizione di Casa Minutella, sono già in onda su Radio Action 101.2 tutti i giorni dalle 12.00 le 13.00

Da grande se Dio me ne darà la grazia vorrei fare il padre.

Sergio Friscia


Propongo un'intervista a Sergio Friscia, attore, comico e showman siciliano.


Quando hai capito che il mondo dello spettacolo sarebbe stato il tuo "mondo"?

L'ho capito un po' troppo presto se consideri il fatto (reale) che sono l'unico caso di bambino al mondo espulso dall'asilo !
Sembra una battuta ma mia mamma può testimoniare... Ero un pericolo pubblico ! Sempre iper attivo e smanioso di stare al centro dell'attenzione.
Alle scuole elementari durante la lezione la maestra mi faceva stare alla cattedra a raccontare storie inventate sul momento ai miei compagni.
Da sempre mi sono divertito a fare le imitazioni dei miei professori e dei miei parenti.
Il mio privo spettacolo l'ho fatto in seconda media, a fine anno scolastico, davanti a circa mille persone.

Come è nato il personaggio "Di Giovanni settimo piano", che ti ha portato tanta fortuna, soprattutto agli inizi della tua carriera?

Già dai tempi della gavetta, tra villaggi turistici, radio e cabaret della Sicilia, mi divertivo a creare dei personaggi, prendendo spunto dal mio spiccato senso dell'osservazione
di tutto ciò che mi circondava. La maggior parte dei miei personaggi sono nati proprio così. Il contadino d'Agrigento che portava la ricotta a mia nonna, i ragazzi "canniati" dell'epoca, e così è nato anche il Sign. Di Giovanni del settimo piano.
Una notte, tornando dalla discoteca dove lavoravo come dj e vocalist, mi sono soffermato in macchina sotto casa e li ho visto per la prima volta colui che sarebbe diventato in seguito uno dei miei personaggi più amati. Un vecchietto che attraversava la strada in pigiama vestaglia e pantofole per andare a gettare l'immondizia. Sugli aspetti invece della "stolitanza" ho preso spunto da molti anziani che quando gli parli ti calano la testa, ti guardano, ma poi alla fine della tua frase ti dicono:" ..... Ah ??". Comunque sono felice di aver creato questo personaggio perchè me lo chiedono ancora dopo ben 26 anni dalla sua creazione e ognuno lo collega ad un parente, un vicino di casa ecc. E poi è quello che mi ha portato al salto dalla tv regionale alla Rai, nel lontano 1997, a "MACAO" di Gianni Boncompagni, su Raidue.

Per te, persona allegra, simpatica e sempre sorridente, è difficile calarsi nei ruoli drammatici, che hai magistralmente in parecchi film?

Calarsi nei ruoli drammatici, per chi è abituato a far ridere, a caratterizzare e ad esasperare i propri personaggi, è molto più facile. Perchè quando ti trovi a doverti calare in un ruolo drammatico, tecnicamente basta andare a togliere tutto ciò che sei abituato a fare, e magicamente, ti ritrovi ad essere nella recitazione molto vero e naturale... e questo da forza a quello che stai interpretando. Purtroppo però in Italia si tende sempre a dare delle etichette e sembra quasi che l'essere poliedrici sia un difetto. Secondo me non esiste l'attore comico, il drammatico, il teatrale, il cinematografico ecc. Esistono semplicemente gli attori bravi e talentuosi e quelli che invece non sono portati per natura a recitare e quindi fanno molta più fatica. Personalmente mi batto da sempre per essere e diventare sempre di più un attore completo e uno showman. E adoro poter spaziare tra cinema, tv, radio, teatro e accettare sempre nuove sfide. Voglio convincere tutti gli addetti ai lavori che ancora hanno in testa etichette e poca voglia di tentare e scoprire, che si sbagliano. E continuerò sempre con umiltà impegno gioia e sacrifici per riuscire in questa mia dura e lunga battaglia. Credo nella meritocrazia e credo che il talento e la professionalità prima o poi ripaghi sempre !


Grazie di cuore per questa bella chiaccherata. Spero sia stato esaudiente.

Un caro saluto e in bocca al lupo per tutto.


Sergio.

Totò Schillaci

Carissimi, oggi vi propongo un'intervista che mi è stata concessa dall'eroe delle notti magiche di Italia '90: il campione siciliano Totò Schillaci.



A che età hai cominciato a giocare a calcio? Quando hai capito che avresti dedicato la tua vita a questo sport?

Ho cominciato a giocare a 11 anni nella squadra AMAT di Palermo e da subito ho capito che al calcio avrei dedicato tutta la mia vita.

Quando hai esordito in serie A?

Ho esordito nel 1989 con la Juventus allenata da Dino Zoff.

Qual'è stato il momento più bello e quello più cupo del tuo mondiale del '90?

Il momento più bello per me è stato quello della convocazione: un sogno che si avverava. Il momento più cupo per tutti è stata quella notte al San Paolo di Napoli, l'eliminazione nella partita contro l'Argentina è stata tremenda.

 Corrisponde a realtà il fatto che il mister Vicini (C.T. a Italia '90) ti diceva: "Totò, entra e segna!..."?

Verissimo: quando il risultato era bloccato mi ordinava questo. Il più delle volte riuscivo ad accontentarlo.

Hai avuto tantissimi allenatori, da chi hai imparato di più?

Senza dubbio da Franco Scoglio che per me è stato come un padre.

Da tempo segui il calcio giovanile attraverso il centro sportivo Ribolla, per questo ti chiedo: qual'è lo stato di salute del movimento in Sicilia? Che consiglio ti senti di dare ai ragazzi che sognano di diventare calciatori professionisti?

Io noto che il calcio giovanile sta vivendo un momento di grande espansione ma, altresì, mi rammarico perché spesso giovani talentuosi non riescano a sfondare per mancanza d'impegno; vedi Stefano, il calcio non è soltanto gioco ma anche disciplina, impegno e sacrificio. Quindi il consiglio che voglio dare ai giovani e quello di vedere il calcio non soltanto come gioco, quindi dedicarsi ad esso con impegno e costanza.

Da ex giocatore della Juventus ti chiedo: che ne pensi del nuovo mister Sarri e della squadra di quest'anno?

Penso che Maurizio Sarri sia un grande tecnico e che otterrà ottimi risultati anche perché la squadra si sta muovendo molto bene sul mercato.


Ringrazio Totò Schillaci per l'immensa disponibilità.

Giuliana Arcidiacono

Cari amici, oggi per giovani talenti belmontesi vi propongo un'intervista a Giuliana Arcidiacono, talentuosa pianista reduce dalla vittoria del concorso "Golden Classical Music Awards" tenutosi alla Weill Recital Hall di New York.



Quando hai capito che il tuo futuro sarebbe stata la musica?

Ho capito che il mio futuro sarebbe stata la musica quando essa stessa, passo dopo passo, traguardo dopo traguardo, è diventata parte essenziale della mia vita, pane quotidiano dei miei giorni.

In che modo ha influito, se ha influito, tuo padre – rinomato professore di pianoforte – in questa scelta?

Ho scelto all'età di 8 anni di studiare pianoforte, di intraprendere questa strada. Mio padre, proprio per accertarsi che io non stessi subendo indirettamente condizionamenti, da subito mi ha anche mostrato altre prospettive, dicendomi espressamente che ero libera di valutare e scegliere cosa veramente volessi fare. E io ho fatto la mia scelta. Lui con grande umiltà e fiducia mi ha fatta studiare con un grande insegnante, il maestro Antonio Sottile, senza essere quindi lui il mio maestro (cosa, a parer mio, discutibile, perché tuo padre non potrai mai vederlo come altra figura educativa. Questo gli fa onore).
I miei genitori mi hanno sempre supportata con tanti sacrifici, cito la mia mamma, che mi ha sempre accompagnata in conservatorio aspettando in macchina che io finissi la lezione di pianoforte e anche nelle giornate più fredde e piovose era sempre lì, pronta per me con tanto amore, a mettere al primo posto il mio studio. Anche quando ero una liceale evitava di farmi viaggiare con l'autobus per andare in conservatorio, pur di non farmi stancare e quindi lasciarmi serena per studiare.
La mia famiglia è stata e sarà sempre il mio grande punto di riferimento!

Che studi hai fatto per raggiungere gli straordinari risultati fin qui ottenuti?

Ho studiato 10 anni al conservatorio di Palermo V. Bellini (oggi A. Scarlatti) nella classe del maestro Antonio Sottile, al termine dei quali mi sono laureata nel giugno 2015 con il massimo dei voti.
Adesso sto proseguendo gli studi frequentando il biennio di II livello AFAM presso l'Istituto Superiore di Studi Musicali "Arturo Toscanini" di Ribera, per conseguire, nel Giugno 2019, la laurea di secondo livello di pianoforte.
Ho contatti con grandi insegnanti ed ho partecipato ad importanti Master Class in Sicilia, Francia e Londra.
Ho inoltre vinto Primi premi in diversi concorsi internazionali e continuo a svolgere attività concertistica.

Che emozioni hai provato suonando alla Weill Recital Hall di New York e quando hai avuto la notizia di aver vinto il Golden Classical Music Awards?

L'emozione che ho provato è indescrivibile. Sapere di aver vinto il Primo Premio e dover suonare in una delle sale da concerto più importanti del mondo, ti riempie di gioia ed emozione.
Ogni traguardo raggiunto è una soddisfazione, ma soprattutto una motivazione in più per fare sempre meglio, mettendosi alla prova dando il massimo di sé stessi.

Che consigli ti senti di dare ai giovanissimi che coltivano il tuo stesso sogno?

Il consiglio che mi sento di dare a tutti i ragazzi che coltivano il mio stesso sogno, ma in generale a tutti quelli che inseguono i propri obiettivi, è di credere principalmente in sé stessi. Può essere scontato, ma non lo è. Bisogna alzarsi ogni giorno con la consapevolezza di essere in grado di superare ogni ostacolo, di spronarsi, di sacrificare il proprio tempo per la propria passione, essendo fieri sempre di sé stessi, perché ognuno di noi è una risorsa e ha tanto da dare.
In particolare, "far musica", deve significare "trasmettere", far passare qualcosa a chi ti ascolta. La musica è dialogo, è emozione condivisa... quando il tuo pubblico capta tutto ciò, allora sì… diventa magia!

Giorgio Scichilone

Carissimi, per belmontesi d'eccezione, oggi propongo un'intervista concessami dal 
professore associato di Storia delle Istituzioni Politiche presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Palermo Giorgio Scichilone.

Che ricordi hai della tua infanzia e adolescenza vissute a Belmonte?

Ricordi meravigliosi. La mia infanzia è stata segnata dalla presenza dei miei nonni, io sono cresciuto nel bar di mio nonno Giorgio, che a rievocarlo oggi ha un sapore quasi mitico, il bar del corso. Sono cresciuto in quell’atmosfera speciale, passando tra le braccia di tante persone che erano frequentatori abituali di quel bar, che era un luogo di incontro di tante persone e gruppi. L’adolescenza invece l’ho vissuta all’insegna dell’impegno ecclesiale e civico. Giovanissimo ho promosso insieme ai miei amici la ricostituzione dell’Azione cattolica a Belmonte, e abbiamo svolto innumerevoli attività formative e iniziative di carattere sociale.

Quale percorso di studi ti ha portato ad essere professore associato di storia delle istituzioni politiche?

Io mi sono iscritto alla facoltà di scienze politiche di Palermo perché avevo una predilezione per le tematiche storico-politologiche. In quel momento non potevo immaginare che la mia passione scientifica sarebbe diventata il mio mestiere, anche se questo era il sogno che coltivavo. Dopo la laurea ho fatto alcuni tentativi in Italia per proseguire con un dottorato, che ho vinto alla fine alla Sapienza di Roma. E da lì, naturalmente non senza difficoltà, sono arrivati ulteriori passaggi e riconoscimenti. Un soggiorno di specializzazione a Cambridge, il posto di ricercatore, poi l’associatura, una fellowship ad Oxford, e adesso l’abilitazione a professore ordinario di storia delle istituzioni politiche.

Pochi giorni fa, si è chiusa la IV edizione della Summer School di Marsala. Spiegaci, per chi non ne fosse a conoscenza, di cosa si tratta e come è nata l'idea di realizzarla.

La Summer School di Marsala organizzata dal mio Dipartimento di Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali è un progetto che è nato direi quasi casualmente, attraverso l’input di miei allievi, e oggi è divenuta una realtà di rilevo scientifico a livello internazionale. Abbiamo fatto una convezione con il comune di Marsala e questo ci permette di usufruire di alcune agevolazioni logistiche in quella meravigliosa città. Essere Direttore di questo progetto è molto gratificante, ancorché faticoso: ogni anno studiosi illustri e corsisti da tutta Italia vengono a trovarci per trascorre una settimana di approfondimento sui temi dell’attualità politica e sociale che noi approfondiamo con le metodologie e le competenze scientifiche proprie dell’università.

Quest'anno il tema è stato il "Mediterraneo", qual è stato il senso di tale scelta? A quali conclusioni si è giunti su tale tema?

Ritengo che noi, come università di Palermo, abbiamo il dovere di studiare il Mediterraneo, uno dei luoghi più sollecitati della geopolitica del nostro pianeta e un’area speciale della storia universale. Noi come Sicilia siamo al centro appunto di quello che gli storici hanno definito “continente liquido”. Portiamo questa centralità nella nostra cultura, nelle nostre città, nella tradizione artistica, nei nostri monumenti, direi nel nostro dna e nella nostra pelle, e siamo chiamati a studiare e quindi provare a spiegare le questioni che ripropongono, come sempre nei millenni è avvenuto, il “mare nostrum” come luogo di incontro e di scontro, di inclusione e contaminazione ma anche di ostilità e divisione.
Mi è stato insegnato (per riprendere la memoria personale con cui abbiamo aperto questa conversazione) che “ignoti nulla cupido”, non c’è amore per ciò che non si conosce. Il compito della cultura è quello di conoscere, e quindi di comprendere anche tutto ciò che è altro, per abbattere i pregiudizi (frutto di ignoranza, paura, diffidenza) e dare un contributo alla tolleranza e al rispetto degli altri. Le civiltà che il Mediterraneo ha generato hanno condotto a queste conquiste, che tuttavia non sono mai definitive e sicure, come la storia e l’attualità ci mostrano. Se c’è un risultato a cui l’intero progetto pluriennale della summer school ambisce, è quello.

 Maria Francesca Mazzara

Carissimi, oggi propongo un'intervista ad una giovane cantante d'opera: Maria Francesca Mazzara.

Maria Francesca Mazzara è nata a Palermo, dopo aver studiato danza classica, si diploma in canto lirico, con il massimo dei voti al Conservatorio Vincenzo Bellini di Palermo ed ha conseguito, presso l’Università degli Studi di Palermo, l’abilitazione SISSIS nella sezione Musica e Spettacolo.

Attualmente perfeziona l'arte del belcanto con il grande soprano Luciana Serra.
Ha partecipato inoltre a numerose Masterclass con i Maestri Renato Bruson, Maurizio Arena, Pietro Ballo e ha frequentato Ltl opera studio al Teatro del Giglio di Lucca.

Il suo talento non è passato inosservato, infatti, ha vinto numerosi concorsi in giro per il mondo; non ultimi: il Concorso Lirico Artisti per la Vita e il Concorso A.Gi.Mus. di Roma. Inoltre, ha ricevuto svariati premi: premio del Pubblico nel Concorso Internazionale Grandi Voci 2014 di Salisburgo; nel giugno 2016 il Premio Nazionale Liolà per il Canto lirico; nel 2012 il Premio Internazionale Universo donna per l’arte musicale; nel 2011 il Premio Kaleidos Una Voce per la Lirica; Premio Internazionale di Sicilianità Pigna d’Argento come talento lirico emergente e il Premio alla Giovane Promessa Lirica sotto le Stelle.

I suoi straordinari risultati la lanciano subito nel circuito internazionale della grande lirica.
Comincia partecipando a vari festival Internazionali, interpretando Rosina in Il Barbiere di Siviglia di Rossini in occasione del Festival of the Aegean (Grecia), il ruolo di Lucia in Lucia di Lammermoor di Donizetti in occasione del Duluth Summer Arts Festival (U.S.A.), a Salisburgo per l’Oper im Berg Festival.
Nel 2017 ha interpretato il ruolo di Violetta Valery all’Opera Națională București (Romania), Elvira nell'Italiana in Algeri al Teatro Massimo di Palermo, ancora Traviata all’Astrakhan Opera and Ballet Theatre (Russia), Traviata di Verdi al Rapallo Opera Festival, al Festival Internazionale di Musica Cerreto Guidi.
È stata inoltre Violetta Valéry al Teatro Massimo di Palermo in occasione della rivisitazione della Traviata nello spettacolo di Teresa Mannino Teresa Valéry.

Numerosi i suoi ruoli in varie rappresentazioni operistiche: Gilda in Il Rigoletto di Verdi; Musetta in La Bohème di Puccini al Teatro Politeama di Lecce; Rosina in Il Barbiere di Siviglia al Teatro Sociale di Mantova; Mademoiselle Silberklang in Der Schauspieldirektor (L’Impresario teatrale) di Mozart al Teatro Massimo di Palermo; Adina in L’Elisir d’amore di Donizetti; Vivetta in L’Arlesiana di Cilea, Silvia in Zanetto di Mascagni; Hanna Glawari in La Vedova Allegra di Lehár e Adele in Il Pipistrello di Strauss.


Si è cimentata anche in prestigiose produzioni di musica sacra nel 2017 ha cantato lo Stabat Mater di Rossini nella Chiesa di Sant'Apollinare a Ravenna e precedentemente ha preso parte all’esecuzione del Gloria di Vivaldi, del Requiem e della Messa dell’Incoronazione di Mozart nel Teatro Carnegie Hall di New York (U.S.A.).


Quando hai scoperto la tua passione per il canto lirico?

Ho iniziato a cantare da piccolissima.
Mia mamma, che ama l'opera e ha una bellissima voce, pur non essendo una cantante di professione, cantava a casa. Lei era la nostra colonna sonora. Insieme abbiamo cantato tantissimo, ma non avrei mai immaginato di diventare una cantante.
Quando i miei mi portarono a teatro per la prima volta, pensai subito che avrei voluto esserci io su quel palcoscenico, infatti, ho iniziato a studiare danza ma più crescevo più capivo che non sarebbe stata la mia strada. Successivamente iniziai a cantare per diletto in un coro. Da lì arrivarono le prime parti da solista; qualcuno mi chiese di cantare l'Ave Maria al suo matrimonio, allora capii che mi sarebbe piaciuto studiare canto.



I miei mi fecero ascoltare da Angela Lo Presti, un bravissimo soprano, corista al Teatro Massimo di Palermo, lei ascoltandomi mi incoraggio nello studio. E da lì cominciò la mia avventura. Il Conservatorio e poi ..quello che è oggi la mia vita: il canto.

Fra le numerose opere a cui hai partecipato, quale ti ha emozionato di più?

Le produzioni di Traviata all'Opera di Bucarest e all' Opera di Astrakhan resteranno sempre nel mio cuore, ma allo stesso modo uno spazio speciale lo ha avuto lo spettacolo di Teresa Mannino: Teresa Valéry andato in scena al teatro Massimo di Palermo. Cantare nel teatro della mia città, un ruolo che amo così tanto, insieme a carissimi amici e bravissimi professionisti (il direttore di orchestra Alberto Maniaci e il baritono Francesco Vultaggio e il tenore Luca Canonici) e essere guidati e supportati da una grande donna palermitana come Teresa Mannino è un'esperienza che non dimenticherò mai nella vita.
Se ci penso l'emozione ritorna tale e quale a quel momento. In siciliano si dice: mi scanto!

Secondo te a Palermo l'opera lirica e abbastanza riconosciuta e tutelata, o andrebbe fatto di più per la sua promozione?

Nel 2018 Palermo sarà capitale della cultura. Amo il teatro della mia città, è fucina per i giovani e luogo di prestigio per i grandi nomi. Il nostro teatro è pieno di iniziative culturali volte non solo a sostenere l'opera ma tutte le arti; recentemente proprio il teatro Massimo in collaborazione con l'Opera di Roma ha promosso il progetto Opera Camion, l'opera itinerante, che si sposta di quartiere in quartiere per divulgare la cultura dell'opera lirica. Un progetto bellissimo a cui anche io ho partecipato. Un'esperienza bellissima che non dimenticherò mai.

Quali sono i tuoi prossimi impegni canori? Quando e dove potremmo ascoltarti?

Prossimamente tornerò al Teatro Massimo di Palermo nell'Elisir d'amore di Donizetti nel ruolo di Giannetta, insieme a una collega bravissima anche lei palermitana Laura Giordano che interpreterà Adina. Altri bei progetti "bollono in pentola" ma per scaramanzia preferisco non rivelare ancora nulla.


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